Tradizione e innovazione

La mortadella nell’era green, Felsineo raddoppia il fatturato

Il gruppo bolognese della famiglia Raimondi da 60 anni leader nella produzione dell'affettato suino Igp diventa primo player nella linea vegetale a base di farine e di grano

di Ilaria Vesentini

A Zolda Predosa. La nuova fabbrica bolognese dedicata al segmento plant-based della newco Felsineo veg produce la mortadella che utilizza farine di cereali e legumi

4' di lettura

Al posto di polpa suina e lardelli, vengono macinate farine vegetali di cereali e legumi con lievito madre, poi insaccate, legate, cotte a vapore e infine raffreddate con una “docciatura”, come vuole la tradizione secolare della classica mortadella Igp, il salume bolognese più amato. Ma quella proposta dal gruppo Felsineo è l’alternativa vegetale agli affettati di carne, battezzata “Good & Green”, la nuova linea lanciata con coraggio, e anche un po’ di azzardo, dalla storica azienda familiare di Zola Predosa - da quasi sessant’anni leader europeo nella produzione e commercializzazione di mortadella, con un terzo del mercato domestico dell’Igp - per non lasciare che fosse la concorrenza ad accaparrarsi la fetta crescente di business legata ai nuovi consumi salutistici “no-meat”.

«L’operazione è frutto di lunghe riflessioni, anche sul nome, iniziate quasi sei anni fa, di fronte alla consapevolezza che il monoprodotto era per noi un limite e un rischio e dovevamo diversificare per crescere. Il processo produttivo dei “salumi” vegetali è riconducibile a quello della mortadella e abbiamo sfruttato non solo il nostro know-how storico ma la forza del marchio, che dal 1963 è sinonimo di qualità, gusto e sicurezza alimentare», racconta l’amministratore delegato Emanuela Raimondi, terza generazione al timone del gruppo Felsineo, abituato a rompere tabù, pazientemente: nel 2015 è stata la prima azienda a esportare mortadella in Cina, dopo 11 anni di iter autorizzativi.

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Emanuela Raimondi. Ad del gruppo Felsineo terza generazione alla guida dell'azienda di famiglia

Ora, dopo aver creato nel 2016 la newco “Felsineo Veg” e dopo tre anni di avvio della nuova fabbrica bolognese dedicata al segmento plant-based, la famiglia Raimondi si sta affermando anche come il primo player nell’affettato vegetale ed è pronta alla scalata industriale: la linea “Good & Green”, nella versione biologica e gourmet, in due anni ha raddoppiato il fatturato (dagli 1,9 milioni del 2019 ai 3,7 milioni di euro del preconsuntivo 2021) e si prepara a mettere a segno un +50% nel 2022. Complici anche altre iniziative pilota per una Pmi che si muove in una nicchia alimentare compassata: dal riconoscimento di società benefit ottenuto lo scorso 17 dicembre (sia dal gruppo sia dalla newco Felsineo Veg), alla certificazione dei primi due prodotti con la tecnologia blockchain, per consentire al consumatore di accedere in modo immediato, scansionando il QR Code, a informazioni relative alle due filiere della mortadella e degli affettati a base di Mopur (il derivato dalla fermentazione del grano, noto come carne vegetale).

La ricerca di nuovi compromessi fra tradizione e innovazione non significa per la famiglia Raimondi strizzare l’occhio ai vegani: «Il nostro Dna è quello di produttori di mortadella suina (che garantisce 50 milioni di euro di fatturato annuo e 130 posti di lavoro, ndr) e il nostro target non sono i vegani o i vegetariani ma i consumatori flexitariani attenti al benessere che variano la dieta in modo bilanciato alternando carni e vegetali, ma che non rinunciano al gusto e non vivono come una restrizione l'alternativa green», spiega l’ad. E dopo i 6 milioni di euro dedicati alla scommessa “Veg” annuncia nuovi investimenti sui due stabilimenti di Zola Predosa, l’uno a 60 metri dall'altro, sia per migliorare l'impatto sostenibile del sito storico di Igp sia per potenziare il confezionamento degli affettati Good & Green. «Per la linea vegetale prevediamo un aumento superiore al 50% quest’anno – sottolinea Raimondi – la produzione passerà da 1,5 a 2,25 milioni di kg, un ritmo doppio rispetto al trend previsto per il mercato italiano degli affettati plant based (+23,4% secondo stime Nielsen, ndr). Anche perché dopo lo stop dell’export causato dalla pandemia ci aspettiamo una forte ripresa della domanda estera che già oggi vale quasi un quarto dei ricavi di Felsineo Veg».

La scelta quasi “blasfema” del principale produttore del salume simbolo dell'Emilia non è passata inosservata tra i soci del Consorzio di tutela della Mortadella Bologna Igp, che rappresenta 26 aziende e una produzione attestatasi negli ultimi dodici mesi, come nell'anno 2020, attorno ai 32 milioni di kg di prodotto venduto. Il direttore del Consorzio, Gianluigi Ligasacchi, non nega di trovare dell’incoerenza nel cavalcare la notorietà e la reputazione raggiunta nel prodotto a base carne per sfruttare l’ondata vegan, «ma ci rendiamo conto che le aziende devono stare sul mercato, l'importante è che il consumatore non venga tratto in inganno, che confezioni e loghi siano diversi». Non ha timori, però, che l'alternativa no-meat possa mettere all'angolo quasi mezzo millennio di know-how dei maestri salumieri emiliani: «La mortadella è un prodotto emozionale, una scelta di acquisto poco razionale: si compra perché è buona e versatile non perché ci si deve nutrire - afferma Ligasacchi -, non a caso i consumi sono aumentati molto durante la pandemia, come per la cioccolata. Va però sfatato il mito di un salume insano: l’Igp è molto dimagrita, con 280 Kcal ogni 100 grammi ha le calorie di una mozzarella fiordilatte e anche il sale è la metà rispetto agli insaccati crudi, oltre al fatto che essendo cotta la possono mangiare tutti. Ora, non credo che un prodotto emozionale del genere possa soffrire la concorrenza della versione vegana, non in Italia dove la mortadella con il suo aroma inconfondibile ha 20 milioni di acquirenti, di cui 15 milioni consumatori assidui».

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