il graffio del lunedì

La mutazione razzo del Milan e l’occhio lungo di Bearzot

Vince il Milan sul Sassuolo con un gol lampo di Leao (il più veloce mai realizzato in serie A). L’Inter vince ma non soddisfa. Dieci anni fa moriva Enzo Bearzot

di Dario Ceccarelli

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4' di lettura

È un periodo così: di grandi mutazioni. E non solo per il virus, che pare si diverta a sfuggirci con tutte le sue varianti, ma anche per il nostro campionato sempre ricco di rapidissimi colpi di scena.

Decisamente sorprendente quello messo in scena dal Milan che va in rete, contro il Sassuolo, dopo appena 6 secondi e 76 centesimi. L'autore del gol più veloce della storia della serie A non è Speedy Gonzales (talento evergreen di sicuro già nel mirino della Juventus…) ma il portoghese Rafael Leao, grande promessa del collegio rossonero che sul campo emiliano sboccia in un lampo lasciando di sasso l'attonita difesa del Sassuolo.

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L'imbeccata è di Calahnoglu, sempre più leader, ma le tre falcate del “Rafa” con rasoterra imparabile sono farina del sacco di questo ragazzino 21 enne, finora descritto come un bambolotto un po' distratto, incapace di stare sul pezzo quando il gioco si fa duro. E Invece, nei panni del vice Ibra, ruolo sempre scomodo, il portoghese s'inventa questo gol da uomo razzo che, evidentemente, è frutto di uno schema preparato a Milanello.

“Non siamo mica qui a pettinar bambole” ha poi commento con un mezzo ghigno Pioli in versione Bersani. Una piccola rivincita, quella del tecnico rossonero, dopo le gufate che quasi tutta la nobile critica calcistica gli aveva indirizzato per la sfida col Sassuolo. Con 4 assenze importanti, e dopo le due frenate con Parma e Genoa, il giovane collegio milanista era ormai dato per bollito, pronto per finire fagocitato dalle due vere star del campionato, l'Inter e la Juventus (nell'ordine che si vuole) stanche di vedere l'attico del campionato occupato da questo impertinente inquilino abusivo che da 15 turni segna almeno 2 gol a partita.

Niente da fare. Anche senza Ibra, e i tanti infortuni, il Milan prosegue la sua marcia. Dopo Leao il raddoppio è di Saelemakers. Berardi, su punizione, firma il 2-1, ma la sostanza non cambia. Il Milan resta in testa (31 punti) sempre braccato da Inter e Juventus (30) che liquidano senza problemi Spezia (2-1) e Parma (0-4). Chiara e netta la goleada dei bianconeri che giganteggiano sugli emiliani (solita doppietta di Ronaldo, Kulusevski e Morata). La miglior Juve ai tempi di Pirlo.

Molto meno brillante il successo dell'Inter che dà sempre l'impressione di fare meno del dovuto. Come se un prestigioso chef, con tanti gustosi ingredienti, alla fine ti scodellasse solo un riso in bianco con due uova al tegamino. Insomma, ci si rimane male.

Ecco, con l'Inter è come andare in mensa invece che a un ristorante stellato. Non ti soddisfa. Vero che è alla sua sesta vittoria consecutiva in campionato, però resta il dubbio che al ristorante di Antonio Conte un bel risotto al tartufo te lo scordi.

Chi torna a una cucina di qualità è invece l'Atalanta che si rosola la Roma con un fumante 4-1 che chiude ogni discussione. Illusi da un gol di Dzeko, i giallorossi vengono travolti nella ripresa da uno straripante Ilicic che mette il pepe ai bergamaschi prima imbeccando Zapata per il pari e Gosens per il sorpasso. Dopo l'Atalanta dilaga e Ilicic, a suggello della sua prova, firma il quarto gol: una perla d'autore.

Tutto bene, quindi, per Gasperini. Che non solo ridà gioco alla Dea, ma ritrovando Ilicic può far dimenticare il ribelle, Papu Gomez, ormai ripudiato anche da Percassi. Il presidente, dovendo scegliere tra i due litiganti, ha naturalmente ripiegato su Gasp sperando che il tecnico non si monti troppo la testa. Ai direttori d'orchestra, molto narcisi, a volte succede.

Ultimo risultato da segnalare il secco 2-0 della Lazio sul Napoli, anzi sui resti dei partenopei, quasi senza attacco per mille infortuni. Anche il povero Gattuso, afflitto da un disturbo all'occhio, se ne sta mogio in panchina. E il Napoli non ringhia.

In un periodo (purtroppo) caratterizzato da ricordi e celebrazioni, non si può dimenticare una figura come Enzo Bearzot, il grande “Vecio” del calcio italiano, scomparso dieci anni fa, il 21 dicembre 2010, all'età di 83 anni.

Friulano, prima giocatore e poi allenatore, Bearzot, oltre ad aver guidato la nazionale alla conquista del mondiale di Spagna (1982) è l'unico cittì ad aver condotto gli azzurri in tre edizioni (1978-82-86) e ad aver collezionato ben 104 presenze sulla panchina italiana. Ma non sono questi record, a dar la cifra del Vecio, uomo di un'altra epoca, ma nel senso migliore del termine. Amava il calcio, ma era anche un uomo di cultura, appassionato di storia e di jazz, capace di lucide innovazioni senza assumere quel ruolo da profeta che molti suoi colleghi, con meno titoli, non disdegnano. Fu il Vecio a lanciare Rossi e Cabrini ai mondiali del 1978 e fu sempre Bearzot, nel 1982, a richiamare in nazionale lo stesso Rossi che veniva da una lunga squalifica per il calcio scommesse.

Bearzot era così: tutto di un pezzo. Nonostante le critiche, gli sberleffi (a quei tempi le critiche erano al vetriolo) e alcune prestazioni impalpabili di Rossi, Bearzot non arretrò di un millimetro dando sempre fiducia al suo centravanti. Difendendolo anche quando sembrava indifendibile. Ma i fatti gli diedero ragione: Paolo Rossi diventò Pablito e l'Italia vinse il terzo mondiale della sua storia. Un'impresa memorabile, fortissimamente voluta da Bearzot, il Vecio dal cuore grande e l'occhio lungo.

Articolo modificato lunedì 21 dicembre alle ore 16,30

Riproduzione riservata ©

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