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Artemis 1 in rampa: parte oggi la nuova missione Nasa sulla Luna

Lunedì 29 agosto è il giorno del debutto per il vettore che rilancia gli americani: l’obiettivo è la «conquista» del nostro satellite

di Leopoldo Benacchio

Nasa, ecco le prime foto "a colori" del telescopio spaziale Webb

5' di lettura

È partito il conto alla rovescia per Artemis 1, la missione senza equipaggio simbolo del ritorno alla Luna. Il contatore è scattato nel Kennedy Space Center di Cape Canaveral, dove il lancio è previsto alle 14,33 italiane del 29 agosto. Ad aprire nuovamente la strada verso la Luna, in questa prima missione senza equipaggio, sarà il più grande razzo mai costruito: Space Launch System (Sls) alto 111 metri e dal diametro di 8,4, sul quale è integrata la capsula Orion. Si guarda intanto con un po’ di preoccupazione alle condizioni meteo, che per lunedì indicano temporali.

Si torna sulla Luna, quindi, cinquant’anni dopo la ripartenza per la Terra di Gene Cernan, l'ultimo astronauta a lasciare il nostro satellite, con l'Apollo 17. Si parte con la missione Artemis 1 il 29 agosto 2022, dalla storica rampa di lancio 39B di Cape Kennedy, la stessa da cui si partì allora con il programma Apollo.

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Questa volta però si va sulla Lina per starci, non solo per far scendere un astronauta e poi farlo tornare, ma per iniziare una vera e propria colonizzazione, al polo Sud del nostro satellite, scelto pochi giorni fa come regione più favorevole. E ancora più in là, oltre il 2030, si pensa a Marte.

Andando per gradi: sul nostro satellite ci tornano gli Usa, ma questa volta assieme all'Europa, il cui ruolo sarà di importanza crescente nelle varie missioni previste da qui al 2025 e oltre e l'Italia ha un ruolo importante già da ora in questa nuova avventura.

Lo Space Launch, System, Sls, il razzo vettore più potente e grande di sempre, derivato, dopo infinite peripezie politiche, dallo Space Shuttle, di cui utilizza parecchie parti a iniziare dai motori, migliorati e potenziati, è il mezzo che porterà la capsula Orion - questa sì nuova di zecca - per questa volta senza astronauti.

Si arriva alla Luna, ci si orbita attorno a buona distanza, si eseguono le misure prescritte del suolo lunare, si catturano immagini che si annunciano strepitose per risoluzione e bellezza e si torna.

Il ritorno della Nasa

Il tutto in 42 giorni, testando così anche la nuova tecnologia e processo di rientro, non banale se pensiamo che la capsula, dopo un viaggio di due milioni di chilometri, arriverà nell'atmosfera a circa 30.000 chilometri ora. Basta pensare che lo scudo termico è progettato per sopportare temperature, dovute alla frizione con l’atmosfera, di quasi 3mila gradi.

Con questa missione, e le prossime due fino al 2025 , e dopo il grande successo della complicatissima missione del James Webb Space Telescope, Nasa si riprende quindi il suo ruolo di grande protagonista dello spazio, offuscato negli ultimi 15 anni dalle differenti direttive che ha ricevuto da vari Presidenti Usa e che hanno dato un aspetto ondivago alla politica spaziale civile americana fino a pochi anni fa.

Di fatto proprio la politica ha rimandato tante volte la costruzione e partenza di questo imponente vettore, costato, assieme alla capsula Orion, oltre 36 miliardi di dollari, spesa ritenuta proprio eccessiva da tanti negli Usa, ma da altrettanti considerata necessaria se si vuole avere un mezzo sicuro che porti persone e soprattutto cose pesanti, dato che sulla Luna, fra la fine del decennio e il prossimo, si vuole anche avere un insediamento sostenibile e stabile.

La sfida sui vettori

Il vettore è il più potente in assoluto mai costruito, alto quasi 100 metri, 98 per la precisione, con una capacità di carico di 30 tonnellate, ma Boeing, il costruttore del vettore Sls, promette una versione ancora più potente, per il trasporto di 50 tonnellate per volta.

Sullo sfondo comunque, secondo i critici americani, resta l'altrettanto grande e potente, ma più moderno, razzo vettore Starship di Elon Musk, fatto per portare, secondo lui, una buona fetta dell'umanità su Marte e che quindi sarebbe più che sufficiente per la Luna.

Il vero pezzo forte, importante, pieno di tecnologia nuova e già pensato per il salto verso Marte è però Orion, realizzato da Lockheed Martin. Dall'inizio alla fine si tratterà di testare le tecnologie sviluppate apposta per queste missioni, dedicate alla dea greca Artemide, figlia di Giove e sorella di Apollo, dea della caccia ma anche della Luna. Insomma un tributo tardivo ma giusto alla parte femminile dell'umanità, tanto che sarà proprio il piede di una astronauta a toccare per primo il suolo lunare questa volta.

A bordo manichini (e Alexa)

Anche se a bordo di Orion questa volta non ci saranno astronauti, troveranno invece posto tre manichini, di diversa fattezza e, per quanto possibili, con caratteristiche di genere diverse. Ovviamente non sono lì per bellezza, ma per misurare l'impatto del volo tramite una fitta rete di sensori su tutto il loro corpo, mentre gli Europei caricheranno un loro pupazzo.

Un particolare, che forse potrà sembrare modaiolo, ma è molto interessante, è che su Orion ci sarà anche il software di Alexa, in versione non troppa diversa dall'assistente software che molti di noi usano, e che dovrà rendere fluida l'interazione fra i futuri quattro astronauti comodamente alloggiati sulla navetta più larga di sempre e il complesso meccanismo di controllo.

In questa prima missione il secondo stadio, alla sommità del quale troviamo la navetta Orion, porta ben dieci microsatelliti che rilascerà in tempi diversi, alcuni destinati allo spazio profondo altri allo studio della Luna, un’operazione che vuole anche essere un test definitivo per capire cosa si può fare in quell'ambiente con satelliti da 15 chili.

La presenza italiana

Uno in particolare, supportato dall'Agenzia Spaziale Italiana, Asi, è interessante: Argomoon , della torinese Argotec, sarà rilasciato per primo e dovrà documentare dall'esterno tutto quel che avviene a Sls e Orion. Un compito molto nuovo e anche molto impegnativo.

L’industria italiana ha comunque un ruolo importante nella realizzazione dell' European Service Module, Esm, fornito dall'Agenzia europea Esa, che che fornisce elettricità, propulsione, controllo termico, aria e acqua agli astronauti.

Leonardo realizza i pannelli fotovoltaici che compongono le quattro aIi del modulo di servizio da circa 7 metri di lunghezza e in grado di erogare circa 11 kW complessivi per l'alimentazione dell'elettronica di bordo.

La nuova economia «lunare»

Thales Alenia Space ha invece curato la realizzazione della struttura del modulo ESM e dei sottosistemi critici – compreso il sistema per la protezione dai micrometeoriti e il controllo termico. Nei prossimi step del programma Artemis, da qui al 2030, l'apporto italiano diventerà sempre più importante e consistente, dalla stazione lunare Gateway del progetto Artemis al modulo per far scendere gli astronauti sulla Luna.

Al netto di speranze e critiche, questa missione segnerà insomma l’inizio della cosiddetta Lunar Economy, fatta di stazioni spaziali attorno al nostro satellite, trasmissioni e sistemi di posizionamento come il Gps o Galileo terrestri, insediamenti per lo sfruttamento minerario e tante altre attività previste. Tutti campi in cui l'Italia ha qualcosa di importante da dire e far valere.

Con questa importante missione termina anche, purtroppo, un'epoca di condivisione e collaborazione a livello internazionale, iniziata una trentina di anni fa con la Russia e che ha portato alla costruzione e operazione della Stazione Spaziale Internazionale. Gli Stati Uniti, per volere del Presidente Joe Biden, non vogliono più avere collaborazioni con Cina, India e Russia in campo spaziale.


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