La necessaria riforma del catasto e le tassazioni immobiliari
di Fabio Ghiselli
3' di lettura
Tra le materie oggetto della bozza di legge delega per la riforma fiscale che verrà posta all'esame del Governo nei prossimi giorni, ci dovrebbe essere anche quella del catasto. Il timore che avvolge il tema è così forte, per le conseguenze che potrebbe avere sulla tassazione immobiliare, che non ha trovato spazio nel “Documento conoscitivo” delle Commissioni riunite Finanze e Tesoro di Camera e Senato, approvato il 30 giugno scorso a conclusione dell'indagine sulla riforma del sistema tributario.
Ma non solo, perché persino i termini utilizzati dai media per annunciarne la ricomparsa sono sintomatici della modalità “timida” con la quale è stato introdotto nel disegno di legge. Testo del quale non si conosce la paternità atteso che non c'è una figura professionale di riferimento all'interno del MEF, né è stata nominata quella apposita commissione di studiosi promessa dal presidente Draghi nel suo discorso di insediamento in Senato il 17.2.21.
Eppure la riforma del catasto è fondamentale, e dopo i tentativi andati a vuoto o quasi, nel 1993, 1995, 1996, 1998 e 2014, dovremmo tutti sperare nel successo dell'iniziativa.
Per varie ragioni: le attuali rendite catastali sono fondate su valori del 1989-1990 aggiornati da inefficienti moltiplicatori; sono da due a tre volte inferiori alla redditività effettiva riscontrabile sull'intero territorio nazionale; la distanza tra i valori catastali e quelli di mercato non è omogenea non solo tra i diversi Comuni italiani, ma addirittura tra le diverse aree dei medesimi Comuni che, al di là della datata distinzione tra aree centrali, intermedie e periferiche, sono state diversamente interessate da processi di sviluppo e dalla localizzazione di servizi e infrastrutture pubbliche; è stato calcolato che il rapporto medio tra valori di mercato e valori catastali è pari a 2 volte, che sale a 4 o 5 per gli immobili più datati (compresi quelli dei centri storici), e scende a 1 per quelli nuovi, con differenze di valore che premiano i possessori di immobili di pregio e i contribuenti più ricchi in termini di ricchezza abitativa posseduta.
Questo insieme di condizioni fattuali genera effetti negativi in termini di equità orizzontale e verticale e sperequazioni tra i diversi proprietari dei fabbricati.
Queste sono le vere ragioni dell'opportunità della riforma, non certo perché l'OCSE, il FMI o la Commissione Ue ci chiedono di adeguare il gettito fiscale immobiliare in rapporto al PIL e alle entrate tributarie totali, che viene ritenuto basso rispetto ad altri paesi europei e sul quale molte considerazioni, anche critiche, si potrebbbero fare.
Ma un approccio adeguato non dovrebbe contenere due principi del tutto inopportuni e inconfrenti che, invece, hanno trovato spazio nella legge delega 23/2014:
-l'invarianza di gettito delle singole imposte il cui presupposto e la cui base imponibile sono influenzate dalle stime dei valori patrimoniali e delle rendite. Semplicemente perché si tratta di una riforma fondata su criteri tecnici che non possono essere contaminati, subordinati e strumentalmente piegati per raggiungere un obiettivo estraneo – di gettito o anche di politica fiscale - a quello eminentemente tecnico catastale. Come giustamente osservava l'allora Direttore dell'Agenzia delle Entrate, il Gen. Antonino Maggiore, “gli effetti sul gettito fiscale di una riforma del sistema estimativo dei fabbricati non dipendono dalle scelte tecniche sulle modalità di determinazione di valori e rendite, bensì dalle scelte di politica tributaria”;
-quello per cui dalla riforma non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. E il motivo è piuttosto evidente: per attuare una seria riforma che duri nel tempo servono adeguate risorse tecniche, tecnologiche e umane, tra le quali occorre considerare anche quelle professionali e specialistiche esterne che devono essere necessariamente coinvolte. Se servono nuove risorse queste vanno trovate, nel rispetto dell'art. 81 Cost..
La riforma del catasto dovrebbe rappresentare un progetto di tutto rilievo per il sistema immobiliare e costituire la base per una adeguata e rinnovata tassazione (basti pensare alle migliaia di fabbricati non censiti e non tassati).
I timori paventati da molti per un generalizzato inasprimento impositivo potrebbero essere risolti tramite due strumenti: una parallela riforma delle imposte immobiliari – da quelle locali a quelle che ben possono essere qualificate esose sui trasferimenti – secondo le linee direttrici che ho evidenziato in altre sedi; il principio per cui l'entrata in vigore della riforma del catasto dovrebbe avvenire contemporaneamente a quella della riforma della tassazione sugli stessi immobili.
Se per quest'ultima finalità il legislatore dovesse adottare la linea dell'invarianza di gettito, non dovremmo scandalizzarci se – anzi, lo dovremmo auspicare – l'imposizione dovesse subire delle variazioni tra i diversi proprietari delle differenti tipologie di immobili, perché lo scopo finale di una riforma complessiva del sistema tributario dovrebbe mirare a risolvere con decisione le numerose distorsioni e le iniquità che oggi lo contraddistinguono.
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