La nostra economia ormai ha cambiato passo, lo Stato acceleri adesso per il futuro
di Marco Fortis
4' di lettura
L’articolo di Gianni Trovati pubblicato nei giorni scorsi su queste colonne, «Due ostacoli sulla ripartenza italiana» (20 febbraio), ha sollevato due temi estremamente importanti: la necessità di dare continuità alla brillante ripresa economica italiana del 2021, completando il necessario ciclo di riforme e utilizzando efficacemente il Pnrr, e il calo demografico strutturale che pesa grandemente sulla società del nostro Paese e, ovviamente, anche sul suo stesso potenziale di sviluppo economico (infatti, banalmente, se i consumatori diminuiscono il Pil fatica ad aumentare).
Ci concentreremo qui sul primo tema. È da tempo nostra opinione che per comprendere le leve fondamentali per riavvicinare il nostro tasso di crescita complessivo a quelli degli altri maggiori Paesi europei occorra una analisi disaggregata delle voci settoriali del valore aggiunto che compongono il Pil e della loro dinamica nel tempo. Rispetto alle argomentazioni di Trovati, che condividiamo in gran parte, la nostra analisi si differenzia dalla sua principalmente per questo aspetto ma anche per i seguenti.
1) Non prenderemo qui in considerazione i dati previsionali del 2022 per comparare la dinamica economica italiana con quella degli altri Paesi europei perché con la crisi ucraina tali previsioni appaiono allo stato ormai poco affidabili (già furono clamorosamente sbagliate un anno fa le previsioni sull’Italia sul 2021). Dunque, ci limiteremo a confrontare i livelli raggiunti dalle economie nel 2021 con quelli precrisi del 2019.
2) Per esigenze di sintesi e omogeneità considereremo solo i 3 principali Paesi dell’Eurozona (anche perché le dinamiche dei Paesi più piccoli sono strutturalmente abbastanza differenti da quelle dei Paesi di maggiori dimensioni).
3) Considereremo inoltre il periodo dell’euro 1999-2019 pre-pandemia suddividendolo in due sottoperiodi, completamente diversi tra di loro: il 1999-2014 in cui l’economia italiana è stata nettamente l’ultima per crescita; il 2015-2019 in cui il nostro Paese si è notevolmente riavvicinato per tassi di espansione agli altri tre maggiori partner nella moneta unica, tendenza che, come vedremo, è continuata anche nel 2019-2021.
4) Per tirare le nostre conclusioni distingueremo tra la dinamica del valore aggiunto dell’economia privata e quella della pubblica amministrazione e dei servizi pubblici, considerando qui rozzamente solo i loro rispettivi contributi diretti al Pil, pur consapevoli che poi entrambe le sfere dell’economia si influenzano reciprocamente con dei moltiplicatori indotti.
5) Infine, per comparare il 2021 con il 2019 considereremo solo i primi tre trimestri di entrambi gli anni, per i quali l’Eurostat fornisce i dati disaggregati del valore aggiunto per settori.
E utilizzeremo per il confronto la somma dei dati grezzi dei primi tre trimestri di ciascun anno.
Il ritardo dell’economia privata italiana rispetto ai livelli precrisi è pressoché simile a quello di Germania e Francia
Il primo risultato che emerge dalla nostra analisi è che nei primi tre trimestri del 2021 il ritardo del nostro valore aggiunto complessivo a valori concatenati 2015 rispetto allo stesso periodo del 2019 (-3,5%) non è molto lontano da quello tedesco (-3%) ed è solo un po’ più marcato rispetto a quello della Francia (-2,7%). Incidentalmente, osserviamo che il ritardo della Spagna è molto più ampio (-7,3 per cento).
Tuttavia, escludendo il settore della pubblica amministrazione e dei servizi pubblici
le differenze tra l’Italia e Germania e Francia quasi scompaiono del tutto (- 3,8% il nostro ritardo rispetto al -3,6% francese e al -3,7% tedesco), mentre il ritardo della Spagna, che ha fatto un ampio ricorso alla spesa pubblica durante la pandemia, si amplia ancora di più (-9,6 per cento). Questa prima constatazione ci dice chiaramente che la nostra economia privata viaggia oggi su livelli europei e che la spinta che ancora a noi manca per crescere nel complesso come Germania e Francia viene principalmente dal settore pubblico. In sostanza, ciò ci fa capire quanto ci giochiamo del nostro futuro se non riusciremo ad incidere con le riforme e con il Pnrr sugli investimenti pubblici e su una maggiore efficienza della pubblica amministrazione.
La manifattura italiana ha surclassato le altre per intensità della ripresa nel 2021.
Il recupero del valore aggiunto di diversi settori dell’economia privata italiana nel 2021 è stato ben di più di un rimbalzo. In particolare, nella manifattura l’Italia è stata nei primi tre trimestri del 2021 talmente performante da far registrare un livello ormai solo dell’1% inferiore a quello dei primi tre trimestri del 2019, mentre le manifatture degli altri due maggiori Paesi europei hanno arrancato e sono ancora molto distanti dai livelli precrisi: Francia -5,2%; Germania -7 per cento.
Gli ultimi due decenni non sono stati tutti uguali per l’economia italiana: dal 2015 il nostro tasso di crescita si è sensibilmente innalzato
La buona dinamica dell’economia privata italiana nel 2021 non costituisce un episodio isolato ma va vista in continuità con quella già fatta registrare nel periodo 2015-2019. Infatti, nel precedente periodo 1999-2014 il tasso medio annuo composto del valore aggiunto sia del totale dell’economia sia della sola economia privata dell’Italia era stato molto inferiore a quelli di Germania e Francia. In particolare, la nostra economia privata era cresciuta in media d’anno solo dello 0,3%, cioè circa 1/5 all’anno rispetto alle economie private di Germania (+1,4% medio annuo) e Francia (+1,5%).
Viceversa, nel periodo 2015-2019 il tasso di crescita medio annuo composto dell’economia privata italiana (+1,4%) si è ormai sensibilmente avvicinato a quelli tedeschi (+1,7%) e francesi (+1,8%). Nell’industria manifatturiera, poi, siamo andati molto meglio degli altri due maggiori Paesi europei: Italia +2% in media d’anno; Germania +1,6%; Francia +1,5%. La rivoluzione di Industria 4.0 ci ha indubbiamente fatto fare un salto di qualità enorme, che è continuato anche nel 2021, come abbiamo visto in precedenza.
In conclusione. È inutile continuare a rimpiangere la crescita che l’Italia non ha avuto nei primi quindici anni del nuovo secolo. Quello è ormai un tempo remoto. Dobbiamo invece renderci conto che con alcune buone politiche e alcune prime riforme la nostra economia privata ha cambiato passo negli ultimi sette anni. Ora tocca finalmente allo Stato accelerare verso il futuro.
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