La «nuova» Fca dopo il no a Renault. E lo zampino Psa dietro alle trattative fallite
di Marigia Mangano
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C’è un prima e un dopo Renault per Fca. Nella notte di mercoledì 5 giugno, la risposta del consiglio di amministrazione di Renault aveva il potere di cambiare la storia del gruppo automobilistico italo americano.
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L’apertura dei negoziati da parte dei francesi avrebbe proiettato l’ex Lingotto in una dimensione mondiale con la creazione del terzo gruppo automobilistico e in prospettiva con Nissan del primo al mondo con 15 milioni di vetture, ingenti investimenti effettuati nell’auto del futuro e un assetto azionario vicino a quello di una public company, con la famiglia Agnelli storico simbolo della Fiat, pronta a rinunciare al ruolo di primo azionista .
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La richiesta del cda di Renault di ulteriore tempo e il contestuale ritiro da parte di Fca della proposta di fusione, come poi invece si è verificato, hariportato quasi automaticamente il gruppo automobilistico al punto di partenza lasciando irrisolte problematiche che vanno dal salto dimensionale al recupero del gap rispetto ai concorrenti in materia di investimenti in auto elettrica e guida autonoma.
Eppure la Fca del dopo Renault, secondo diversi osservatori, si presenta al grande pubblico finanziario con una identità profondamente cambiata rispetto alla casa automobilistica pre annuncio del progetto di aggregazione. Ma soprattutto il breve passaggio in Francia sembra aver tracciato una strada quasi obbligata per il futuro della nuova Fca .
Identità profondamente cambiata perché proprio nei mesi precedenti il caso “Renault” la Fca di Sergio Marchionne iniziava a diventare la Fca guidata da Mike Manley nella percezione collettiva. La vendita di Magneti Marelli, seppur non seguita direttamente dal manager che ha rilanciato Jeep, ma andata in porto per oltre 6 miliardi di euro era la prima operazione della nuova gestione ed aveva contribuito a far ricredere un mercato scettico fin dall’inizio a causa della personalità ingombrante di Marchionne, scomparso a luglio scorso. La storia francese ha però rimescolato le carte ancora una volta: nella complessa trattativa con Renault, la neonata Fca di Manley lasciava il posto alla Fca di John Elkann. Con il rappresentante della famiglia Agnelli che in questa partita ha concentrato su di se tre ruoli: azionista presidente e uomo solo al comando di Fca . Non a caso sarebbe stato Elkann, nell’accordo sfumato con i francesi, l’unico rappresentante dell’attuale vertice Fca a ricoprire insieme al francese Dominique Senard, un posto in prima linea nella cabina di comando del terzo gruppo mondiale dell’auto.
Un secondo elemento di discontinuità rispetto al passato è il restringimento del campo di azione in tema di alleanze. L’opzione francese e più in generale europea, se il tavolo Renault non dovesse riaprirsi in forma allargata insieme a Nissan, appare accontonana definitivamente. Questo dopo che per diversi anni, anche sotto la gestione Marchionne, Parigi ha rappresentano un terreno ricco di opportunità e un desiderata della vecchia e nuova gestione. I dossier del gruppo Psa e quello dell’Alleanza Renault hanno viaggiato per diversi mesi quasi parallelamente sul tavolo di John Elkann. E il fallimento della stessa trattativa con Renault vede nelle pressioni esercitate dal gruppo guidato da Carlos Tavares sul Governo, azionista di entrambi i gruppi francesi, uno degli ostacoli maggiori al progetto di aggregazione. «Per lo Stato francese era un po’ come decidere tra due figli», racconta una fonte vicina alla trattativa. Questioni di equilibri delicati, dunque, che evidentemente portano Fca direttamente a guardare in America a vecchi progetti come Gm o Ford o piuttosto all’ Asia .
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Infine la parentesi Renault per la prima volta in modo ufficiale ha alzato il velo sulle intenzioni dell’azionista storico della vecchia Fiat. La famiglia Agnelli era pronta in questa operazione a ridimensionarsi in modo sensibile nel capitale del nuovo gruppo passando dal pacchetto del 29% al 13% della nuova Fca-Renault e, in prospettiva, a quasi al 5% di un gruppo che contemplasse anche il partner giapponese Nissan. Certo, non significa vendere. Ma aprire a un progetto di public company, quello sì.
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