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La nuova globalizzazione tra democrazia e libertà economica

di Josef Nierling*

(AdobeStock)

4' di lettura

La democrazia è il fondamento della nostra società. Garantisce l’uguaglianza, la libertà e la tutela dei diritti individuali. L’economia consente alle persone di realizzare i propri sogni imprenditoriali e porta innovazione, incentiva il progresso e crea posti di lavoro. Un’economia forte è fondamentale per la stabilità e il benessere dei nostri sistemi democratici. Ma la loro relazione simbiotica apparrebbe oggi incrinata.

In un recente discorso al World Economic Forum di Davos, infatti, il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg ha affermato che “la libertà è più importante del libero scambio” e che la guerra in Ucraina dimostra come le relazioni economiche con i regimi autoritari, come quella energetica con la Russia, creano vulnerabilità nei sistemi democratici.

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L’affermazione è chiara e semplice, accettabile da ognuno di noi, ma la realtà non è così facile. In nazioni come l’Italia e la Germania, basate sull’export, il benessere e il sistema democratico si fondano proprio sullo scambio internazionale. Di conseguenza, democrazia e libero scambio non dovrebbero essere messi in contrapposizione, ma guidati nella loro reciproca influenza.

Infatti, benché molto differenti tra loro, la libertà politica e la libertà economica sono entrambe espressioni forti e rappresentative della democrazia di un Paese. La libertà politica permette ai cittadini di votare diversi partiti, criticare idee e persone, proporre nuovi programmi. La libertà economica, invece, consente ai consumatori di scegliere tra diversi beni e servizi, offerti da produttori in competizione tra loro. Osservandole sotto questa lente, in entrambe le espressioni è incentivata quella libera competizione che, oggi, è posta in dubbio per alcune derive che ha assunto.

Nella fase di iper-globalizzazione degli anni Novanta, si credeva che il commercio fosse la strada per la democratizzazione mondiale. Oggi, questa aspettativa è fortemente mitigata: ci troviamo in un momento storico in cui ci sono più Paesi autocratici che democratici. Ci siamo accorti, in primis nella relazione con la Russia, che questa visione di democratizzazione è stata troppo ottimistica. Quale dovrà essere allora il futuro approccio con gli Stati autocratici? Oggi le aziende occidentali si stanno allontanando dalla Russia, ed è una buona strada per creare pressione verso uno stop alla guerra. Ma, anche in Russia, in futuro, ci sarà una nuova fase politica e prima o poi si riprenderanno i rapporti: quale sarà la nuova strategia?

Effettivamente, la crisi energetica europea ci ha violentemente evidenziato che bisogna evitare di dipendere da Paesi con regimi autoritari o politicamente instabili; ma anche in futuro questa dicotomia di interessi non sarà più facile, dato che spesso proprio in questi Paesi si trovano fattori produttivi importanti. Non avere relazioni con tali Paesi è utopico. Oggi sta positivamente aumentando il commercio tra Paesi democratici a scapito di altri. Ciò ha però alcuni effetti sociali negativi: ad esempio, la riduzione di import asiatico negli USA ha generato un aumento significativo dei prezzi di numerosi prodotti, colpendo in particolare le fasce con minore potere d’acquisto. In generale, se le catene di approvvigionamento globali diventano più costose e meno libere, la loro capacità di contrastare le pressioni inflazionistiche diminuisce. Le banche centrali sono così lasciate a gestire da sole la crescita dei prezzi. Inoltre, oggi cresce il debito sovrano per finanziare gli spostamenti geopolitici delle catene del valore. La combinazione di tassi di interesse più elevati e pesanti oneri del debito sovrano potrà aggravare le pressioni fiscali, o indurre ad un indebolimento della spesa pubblica a supporto del sistema sociale.

Negli ultimi 30 anni, la globalizzazione è stata un fattore primario di crescita globale. Si può avere crescita riducendo la globalizzazione? Al di là dell’acceso dibattito teorico tra gli economisti, all’atto pratico la risposta è abbastanza univoca: le interdipendenze economiche sono insolubili, e se è vero che dobbiamo cercare un nuovo percorso di crescita che abbia al centro la salute del nostro pianeta, la soluzione può essere trovata esclusivamente attraverso una collaborazione globale.

Nella strategia europea, votata al commercio internazionale, c’è sempre stata l’idea di proteggere l’ambiente e il sistema sociale. Il tema che complica le cose è la sicurezza e la geopolitica. Oggi, dobbiamo mantenere il commercio globale, aggiungendo l’attenzione alla diversificazione e alla sicurezza. La politica europea e nazionale si è finora focalizzata sul quadro normativo per la garanzia della concorrenza leale, della protezione dei consumatori, della competitività delle imprese e della salvaguardia del nostro ambiente, ma adesso è richiesta una nuova fase: portare avanti iniziative attive di politica industriale.

La questione è complessa, perché si rischia l’interferenza con la libertà economica. Quanta influenza deve esercitare lo Stato sulle decisioni dei player economici? Quanti e quali incentivi sono necessari e corretti? Qual è l’equilibrio tra pubblico e privato? Per avere un ruolo attivo nella politica industriale le istituzioni governative si devono dotare di nuove competenze che non sono quelle tipiche dell’attuale sistema politico.

Tutti gli elementi qui trattati possono essere osservati con grande lucidità nel settore dei semiconduttori: da questo settore è partito alcuni anni fa il decoupling tecnologico tra Stati Uniti e Cina; e, tra i piani di politica industriale, i Chips Act (siano essi statunitensi, europei o cinesi) sono quelli più emblematici. Nonostante la volontà politica di influenzare attivamente le evoluzioni del settore, viene direttamente dai principali produttori statunitensi l’appello a Washington ad astenersi da ulteriori restrizioni sulle vendite verso Pechino.

In conclusione, se la deglobalizzazione non è un’opzione, è fondamentale rafforzare il rapporto tra impresa e democrazia: in un momento di transizione come questo, operando scelte responsabili, possiamo costruire un’Europa economicamente ricca, democratica e socialmente giusta. Insieme possiamo plasmare un futuro in cui prosperità e valori vadano di pari passo.

(*) Josef Nierling è amministratore delegato di Porsche Consulting in Italia dal 2014. Si occupa principalmente di strategie per la competitività: innovazione, lavoro, sostenibilità e internazionalizzazione.
Questo contributo verrà pubblicato nel volume Unsere Demokratie – Deine Freiheit!
I Goethe-Vigoni Discorsi per commemorare l’eredità della Paulskirche
a cura di Axel Wintermeyer e Christiane Liermann Traniello edito da Villa Vigoni

Riproduzione riservata ©

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