La Pa è social, ma non basta: serve il riconoscimento delle professionalità e un investimento sulle competenze
La presenza digitale delle amministrazioni pubbliche è ormai una realtà, ma resta molto lavoro da fare per rendere strutturale questo cambiamento culturale
di Francesco Di Costanzo *
3' di lettura
Nove cittadini su 10 chiedono un grande Piano di cultura digitale, l'80% degli italiani si aspetta di trovare comunicazione, informazione, servizi, dialogo e interazione con la Pubblica amministrazione sulle principali piattaforme digitali di comunicazione e messaggistica. Sono i dati dell'Osservatorio nazionale sulla comunicazione digitale di PA Social e Istituto Piepoli che restano stabili negli anni post pandemia e che sottolineano il pieno taglio di un traguardo importante: la consapevolezza da parte di cittadini, imprese, pubblica amministrazione, dell'utilità delle piattaforme digitali nella vita quotidiana. Oggi, nel 2023, credo che sia possibile dire di aver raggiunto un quadro nazionale in linea con quello che era, nel 2015, un principio fondante dell'Associazione PA Social “la PA deve stare dove sono i cittadini”.
È proprio così, da nord a sud, con strutture pubbliche di varie tipologie e dimensioni, centrali e locali, ormai tutte garantiscono una presenza digitale (restano fuori rari casi e molti si stanno organizzando per colmare un gap ormai incomprensibile): ministeri, regioni, comuni, aziende sanitarie, musei, parchi, camere di commercio, università, scuole, utilities e aziende di servizio pubblico, numerose strutture statali e territoriali utilizzano i principali social network, chat, piattaforme digitali (da Facebook a Instagram, da TikTok a Twitter, da LinkedIn a YouTube e Twitch fino alle chat come WhatsApp, Telegram, Messenger), molti hanno messo in campo l'intelligenza artificiale (da Azzurra a Caterina, da Sena a Anna fino a Sara e molte altre, sono ormai tante le assistenti virtuali in forza alle PA nel servizio al cittadino, recentemente anche con capacità di produrre e comprendere la Lingua dei segni), iniziano ad arrivare le prime sperimentazioni di metaverso (dagli ospedali alle Regioni fino agli enti del turismo e della cultura, le università), si è sviluppata una più matura attività di customer care social e urp digitale.
Il tutto, insieme all'identità digitale, all'App IO, ai tanti servizi digitali a disposizione, forma una batteria di strumenti, professionalità, modelli organizzativi che stanno rivoluzionando il rapporto tra pubblica amministrazione e cittadini. Chi aveva già svoltato nel pre pandemia ha accelerato ulteriormente negli ultimi anni, per chi era indietro c'è da registrare sicuramente un recupero e un miglioramento complessivo dei servizi. Tutto bene quindi?
No, resta molto lavoro da fare per rendere strutturale questo cambiamento culturale all'interno del settore pubblico. E non solo, vista anche l'insistenza ormai quasi quotidiana nella demonizzazione degli strumenti, nel proliferare di proposte di nuove leggi (spesso più spot che d'utilità), nel procedere spesso a blocchi per “paura” dell'impatto dell'innovazione e delle novità tecnologiche. Stiamo vivendo gli anni in cui si scrivono a livello internazionale e nazionale le regole del mondo digitale e nel frattempo tutte le piattaforme hanno cambiato pelle, sono completamente diverse da quelle che conoscevamo qualche anno fa.
La sfida è quindi sempre più ampia e la PA dev'essere in grado di affrontarla sfruttandone le opportunità nel migliore dei modi e gestendone i rischi e le storture. Per questo credo serva un balzo in avanti sulle competenze (siamo anche nell'anno europeo dedicato…) e sulle professionalità. Parlando di comunicazione e informazione la Pubblica amministrazione continua a far riferimento ad una legge (la 150) che è del 2000, preistoria rispetto al quadro delle opportunità e del modo di lavorare di oggi. Una legge dove, per forza di cose, non esistono gli esperti in comunicazione e informazione digitale, tutte quelle figure necessarie per affrontare al meglio questo passaggio di crescita del settore pubblico. Su questo non siamo indietro, di più. Con PA Social insistiamo da anni sulla necessità di una riforma, un intervento normativo che è sicuramente importante per comunicatori, giornalisti, social media manager, ma è fondamentale soprattutto per la qualità dei servizi che la PA può offrire nel quotidiano ai cittadini. Un salto di qualità necessario e non più rimandabile.
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