La pandemia ha colpito gli “ultimi”: viaggio tra le persone che ogni notte dormono per strada
Col gelo, con la pioggia e con il vento ogni sera un piccolo esercito di senzatetto dorme fra cartoni e coperte, con le scarpe sotto la testa per non farsele rubare
di Nicoletta Cottone
4' di lettura
Stendono i cartoni sui marciapiedi o sotto i porticati, si avvolgono nelle coperte, mettono le scarpe sotto la testa per non farsele rubare. Cercano di coprirsi con sacchi a pelo e teli di plastica. I più “fortunati” montano piccole tende all’imbrunire e sono meno a contatto con l’asfalto gelato. Questo è un viaggio nella città nascosta dei senzatetto, fra le persone che ogni notte dormono all’aperto, sotto il cielo della Capitale. Cercano di sopravvivere nonostante il gelo, la pioggia, il vento. Sono quelli che si mettono in coda per un pasto caldo, che ogni sera cercano un riparo e restano di notte all’erta per non farsi rubare quel poco che hanno.
Tredici morti di freddo in strada
In tredici sono morti nella Capitale sotto quelle coperte dall’inizio dell’inverno. L’ultimo in ordine di tempo è un senzatetto nigeriano di 46 anni, Edwin. Morto di freddo, a gennaio, a pochi passi da San Pietro. All’Angelus Papa Francesco ha pregato per lui, per quest’uomo «ignorato da tutti, abbandonato, anche da noi». Una storia che si è aggiunta «a quella di tanti altri senzatetto deceduti di recente a Roma nelle stesse drammatiche circostanze». Tanto che il Papa ha invitato tutti a «spegnere la tv, chiudere il cellulare e aprire il Vangelo».
La perdita del lavoro ha creato tanti nuovi poveri
La pandemia ha reso ancor più difficile la loro condizione, chiudendo le vie ordinarie di aiuto. Ma anche la possibilità di socializzare seduti alle mense. La perdita di posti di lavoro, la chiusura di attività commerciali e produttive ha creato tanti nuovi poveri. Pesanti le ripercussioni sociali sugli “ultimi”. Questo è un inverno ancor più difficile per chi dorme ogni notte sotto le intemperie, nell'indifferenza di chi passeggia lì vicino o inforca l’ultimo modello di monopattino. Persone che per dormire hanno solo un pezzo di cartone, un sacco a pelo o una coperta distribuita dai volontari di Caritas e Sant’Egidio, insieme al cibo.
Il dolore di una vita in strada
Sui marciapiedi e sotto le gallerie di piazza San Pietro scorrono tante storie: chi ha perso il lavoro da autista di bus turistici, chi è rimasto vedovo e ha perso la casa, chi è arrivato in Italia per mare e non ha dove dormire, chi ha perso il contatto col mondo e vive in un universo tutto suo. Chi ha sul volto i segni del dolore di una vita in strada e preferisce non parlare. Molti uomini, ma anche qualche donna di età avanzata. Badanti, soprattutto dell’Est, che sono rimaste senza lavoro dopo la morte dell’anziano che accudivano.
Da giardiniere-idraulico a senzatetto, la discesa negli inferi di Giovanni
Il nuovo coronavirus ha creato nuove povertà e ha accentuato quelle storiche. Giovanni dorme ogni notte sotto il portone della chiesa di Santa Maria in Traspontina, in via della Conciliazione. Si addormenta ogni sera dentro un sacco a pelo, sopra un cartone. «Siamo in tanti qua. E bene o male cerchiamo di tirare avanti. Un tempo lavoravo come giardiniere e idraulico - racconta Giovanni, un sessantenne che indossa solo una maglietta a maniche corte in una notte gelida - poi ho perso il lavoro, ho perso tutto e mi sono ritrovato in questo mare in tempesta. Attualmente faccio il senza fissa dimora, in attesa che qualcosa mi vada bene. Però, in attesa, come si dice, chi di speranza campa, disperato muore».
Daniele: «Questa è una giungla di disagio e di degrado»
Daniele, un po’ più giovane, dorme accanto a lui. «Cerco di sopravvivere in questa giungla di disagio e di degrado. Con la pandemia si è chiuso l’aiuto a livello diretto, materiale, a livello spirituale ce n’è, però, purtroppo, non di solo spirito vive l’uomo, ma anche di cose materiali. Purtroppo noi poveri abbiamo bisogno di tutto, perché purtroppo la povertà non conosce confini e non conosce malattie».
Multati nel corso del lockdown
Il distanziamento, le regole stringenti dell’emergenza creata dal nuovo coronavirus hanno allontanato molte possibilità di ottenere solidarietà per i senzatetto. Addirittura nelle prime fasi del lookdown i clochard sono stati multati perchè non avevano un tetto dove ripararsi nelle ore del coprifuoco. «Se questo periodo è stato particolarmente difficile per tutti, per i poveri è stato molto peggio», sottolinea Carlo Santoro, direttore di Palazzo Migliori, l’hotel per i senzatetto a un passo dal colonnato di San Pietro, donato ai poveri da Papa Francesco e affidato alle cure dell’Elemosineria apostolica vaticana e della Comunità di Sant’Egidio. «Con il lockdown totale - spiega Santoro - i poveri non sapevano come fare a mangiare. Chiusi anche i posti che in genere fornivano la colazione. E non era possibile andare davanti alle chiese a chiedere l’elemosina, perché erano chiuse anche quelle. Si sono trovati disorientati. E spesso venivano fermati come tutti noi, ma alcuni di loro, non avendo una abitazione, all’inizio sono stati multati, perché non potevano stare in casa come veniva detto a ciascuno di noi».
In tanti dormono ogni notte al freddo
E con la piena del Tevere in tanti hanno dovuto abbandonare i rifugi lungo le banchine del fiume, sommerse. Nell’anno della pandemia l’incidenza dei “nuovi poveri” che si rivolgono ai centri di ascolto diocesani e parrocchiali della Caritas è passata dal 31% al 45 per cento. Quasi una persona su due lo fa per la prima volta. E nonostante l’infaticabile opera dei volontari, in queste notti di freddo straordinario oltre 8mila persone cercano un ricovero per dormire. Ma i posti per l’accoglienza sono solo 1.300. E agli altri non resta che dormire al freddo.
Silvano dopo otto anni ha trovato un riparo a palazzo Migliori
Silvano, dopo otto anni passati a dormire in strada, ha trovato rifugio a Palazzo Migliori. Si era trovato in strada dopo aver perso il suo lavoro da muratore, perchè la ditta era fallita. «Dormivo quattro ore a notte, come un coniglio, sempre attento che non mi rubassero il poco che avevo. Con le scarpe sotto la testa. Dormivi due-tre ore e due-tre ore dormiva l’altro. Per strada è difficile dormire. Qui, a Palazzo Migliori, fai la doccia, mangi, hai un posto caldo, un armadio. Una casa». Il mio desiderio? «Vivere tranquillo e ricominciare a lavorare. Mai dire mai, perchè non si sa mai». Il suo motto lo dice sorridendo: «Mai smettere di sognare».
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