La parità tra euro e dollaro? È già una realtà per chi prova a cambiare allo sportello
di Maximilian Cellino
4' di lettura
Un dollaro tornerà davvero a valere più di un euro come nel 2001? Molti analisti finanziari sono pronti a scommetterci su, adducendo motivazioni fondamentali anche convincenti. Di tanto in tanto il cambio si avvicina del resto alla parità, ma poi viene puntualmente respinto come succede ai magneti di uno stesso polo. Per qualcuno però quel limite è stato già varcato da tempo e basta cercare di cambiare la valuta, magari prima di partire per un viaggio a New York, per averne una riprova: se ci si rivolge a uno sportello cambiavalute, alla propria banca o anche alla posta è possibile ottenere meno di un dollaro per ciascun euro versato.
Attenzione ai particolari
Il diavolo, si sa, si nasconde nei dettagli. E in questo caso i dettagli si annidano nelle commissioni che si è costretti a versare quando si acquistano (o si vendono) valute diverse dall’euro a casa nostra: prese nell’insieme non sembrano gran cosa, anzi spesso non ci si fa neppure caso (colpevolmente). Ma possono fare davvero la differenza, soprattutto quando il cambio fra due monete si avvicina molto alla parità come in questi ultimi mesi per l’euro/dollaro.
La tassa «fissa»...
Gli oneri a carico del risparmiatore in questi casi sono di tipi differenti: c’è la commissione vera e propria, che varia in base alla banca o anche al tipo di conto corrente. A volte è calcolata in percentuale sul controvalore dell’operazione (per esempio l’1% con un minimo) in altre occasioni è invece un importo fisso (da 2 fino a 10 euro e oltre), ma non è finita qui. Il cambio che viene applicato alla compravendita non è infatti quello che si legge sui terminali nel momento in cui viene effettuata, né quello fissato quotidianamente dalla Bce o da Bloomberg o Reuters, perché ai valori presi come riferimento viene sottratta (o aggiunta in caso di vendita) una determinata percentuale detta «scarto di cambio» che può anche essere rilevante.
... e lo spread sul cambio
Questa differenza appare spesso in modo evidente su certi display esposti sia in banca, sia nei negozi cambiavalute che si vedono lungo la strada che indicano prezzi ben diversi praticati sulle quantità in acquisto o in vendita di una determinata valuta estera: quello spread è in fondo il guadagno dell’operatore, che a volte (non sempre, soprattutto nel caso dei chioschi forex exchange) si aggiungono alle commissioni vere e proprie.
Qualche esempio può essere d’ulteriore aiuto per chiarire la situazione. In questi giorni il cambio euro/dollaro è risalito a 1,08 dai minimi di 1,04 raggiunti a inizio anno, valori in base ai quali ci si aspetterebbe di «acquistare» 100 dollari pagando appena 92,59 euro, ma le cose non stanno esattamente così come si è visto. Se al cambio del momento si applica uno scarto del 4% si sale già a oltre 96 euro, e se poi si aggiunge una commissione di 6 euro per l’operazione si arriva fino a 102,45 euro. In questo caso un dollaro vale quindi già più di un euro e il cambio effettivo sarebbe esattamente 0,976 (e non 1,08).
Le condizioni di Poste italiane...
Le cifre citate poche righe sopra non sono prese a caso, perché si tratta proprio delle condizioni in vigore presso uno degli operatori più gettonati nel nostro Paese, cioè Poste Italiane, che a decorrere dal 23 febbraio scorso trattiene una commissione di 6 euro per ogni operazione di acquisto o vendita di valute estere (dollaro, ma anche sterlina, yen o franco svizzero) oltre ad applicare uno scarto di cambio del 4% sul fixing Bloomberg. Naturalmente se si richiedesse un quantitativo maggiore di denaro si potrebbero ammortizzare in modo migliore le commissioni fisse, ma per far tornare l’euro sopra la parità con il dollaro è necessario acquistare almeno 170 dollari.
...e quelle di banche tradizionali e online
La situazione non è poi così differente se ci si rivolge alla propria banca: certo, ogni conto corrente ha i suoi costi, che non sempre appaiono così evidenti nei fogli informativi. Un istituto di credito con sportelli sul territorio nazionale carica per esempio una commissione di 5 euro per la singola operazione e uno scarto di cambio del 2,5%, mentre uno operativo soltanto online fa esattamente il contrario: 2,5 euro di commissione e una maggiorazione (o riduzione del cambio del 5%). Per acquistare 100 dollari sono necessari in entrambi i casi proprio 100 euro meno qualche spicciolo: la parità è salva, ma soltanto grazie all’indebolimento del biglietto verde in queste ultime settimane.
Le possibili alternative (all’estero)
L’alternativa, in questi casi e per chi le possiede, è affidarsi a bancomat o a carte di credito per prelevare direttamente il denaro dagli sportelli automatici all’estero. Anche qui si entra in una babele di costi ben differenti l’uno dall’altro e occorre fare molta attenzione, ma in genere si possono spuntare condizioni più favorevoli, soprattutto con le carte prepagate. C’è poi chi si affida ai cambiavalute nelle vie più turistiche (attenzione però ai cambi al nero e alle banconote false!), ma in ogni caso l’operazione non è mai del tutto gratuita. Dollari, sterline, yen o rupie indiane si pagano, a volte anche in modo salato. E per fortuna che l’euro ci ha almeno risparmiato questa incombenza quando si viaggia all’interno dell’Unione.
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