La Perla, il fondo Tennor diserta l’incontro al Mise: chiesti altri 4 mesi per il piano industriale
La Regione Emilia- Romagna e il Mise insieme per cercare tutte le azioni possibili per far sì che la produzione dello storico marchio possa proseguire, con o senza l’inaffidabile fondo proprietario e l’inafferrabile finanziere Windhorst al timone
di Ilaria Vesentini
3' di lettura
Non si sono presentati né i vertici aziendali né la proprietà anglo-tedesca di La Perla nella giornata del 6 novembre, al tavolo ministeriale convocato per fare luce sul futuro dello storico marchio bolognese di intimo di lusso. Del piano industriale promesso per metà ottobre dal finanziere tedesco Lars Winhorst (che dal 2018 controlla il brand di lingerie attraverso il fondo inglese Tennor) non c’è traccia e l’unica notizia uscita dall’incontro a Roma è che il consulente Brendan Murphy - intervenuto in videocollegamento per conto della holding finanziaria - ha chiesto altri quattro mesi di tempo per formulare i termini di «una ristrutturazione radicale e una riorganizzazione, tecnologica e logistica, necessarie per affrontare il rilancio del marchio, prospettando l’individuazione di un nuovo stabilimento più funzionale e una riduzione della forza lavoro», fa sapere in una nota la Regione Emilia-Romagna.
Nella riunione convocata a Roma dal ministero delle Imprese e del Made in Italy, presieduta dalla sottosegretaria Fausta Bergamotto, c’era l’assessore regionale allo Sviluppo economico e Lavoro, Vincenzo Colla che descrive l’incontro come «drammatico e surreale». Si tratta di un comportamento e di proposte aziendali «inaccettabili», spiega Colla, che portano a un blocco totale del sistema produttivo di La Perla. «Tennor sta spingendo sull’orlo del precipizio un marchio del Made in Italy con competenze professionali eccezionali. Chiediamo a Tennor - continua - di presentare al ministero una fideiussione bancaria o un supporto finanziario certificati, come garanzia di qualsiasi ipotesi di ripresa produttiva. Abbiamo, inoltre, richiesto di verificare tramite professionisti del Ministero le condizioni e le procedure che sta subendo il gruppo dal fisco inglese e da altri soggetti che stanno chiedendo il pagamento dei propri crediti».
Il riferimento è alla notizia arrivata pochi giorni fa da Oltremanica che un giudice di Londra, chiamato in causa dall’ufficio Entrate della Corona e da due creditori dell’azienda, avrebbe ordinato la chiusura della sede locale di La Perla per debiti fiscali non pagati. Secondo l’agenzia internazionale Bloomberg si tratterebbe di un arretrato di 2,8 milioni di sterline (3,2 milioni di euro) che La Perla Global Management deve all’erario inglese e che la capogruppo La Perla Fashion Holding NV si è detta pronta a versare entro due settimane, ma il giudice non ha concesso ulteriori proroghe.
In Italia il marchio fondato nel 1954 dalla ricamatrice Ada Masotti occupa oggi 330 persone, di cui 230 impiegate nello stabilimento produttivo di Bologna, tutte sotto ammortizzatori sociali. Stefania Pisani, segretaria Filctem Cgil Bologna definisce «imbarazzante» l’incontro di oltre due ore andato in scena al Mise, dove si sono presentati tre consulenti inviati da Windhorst a trattare con il governo, le istituzioni e le organizzazioni sindacali, poco coscienti della gravità della situazione aziendale e limitatisi a fornire «generiche e preoccupanti dichiarazioni di razionalizzazione del sito bolognese con una riduzione del personale e senza alcuna consistenza finanziaria».
Nella giornata di martedì 7 novembre l’assemblea dei lavoratori dello stabilimento di via Mattei deciderà le iniziative di protesta da intraprendere. E dopo l’ennesima fumata nera, la Regione e il Mise sono allineati sulla necessità di individuare tutte le azioni possibili per far sì che la produzione di La Perla possa andare avanti, con o senza l’inaffidabile fondo Tennor e l’inafferrabile finanziere Windhorst al timone.
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