La peste suina arriva negli allevamenti pavesi, alzate tutte le misure di allerta
Due indagati a Zinasco per non aver denunciato i contagi. Il ministero della Sanità riunisce l’unità di crisi
di Micaela Cappellini
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Si alza l’allerta per la peste suina in Lombardia. Dopo il primo caso di cinghiale infetto ritrovato a fine giugno nel Pavese, la malattia - che non ha alcun effetto sull’uomo - è arrivata anche negli allevamenti, tanto da attivare l’unità di crisi del ministero della Sanità per individuare le necessarie mosse di profilassi a garanzia dell’export e per contenere i contagi. Le aree dei ritrovamenti sono vicine alla provincia di Lodi e a quella emiliana di Piacenza: se la peste suina si diffondesse in queste zone ad alto tasso di allevamenti suinicoli, gli abbattimenti obbligatori metterebbero in ginocchio l’intero settore della salumeria italiana.
A Zinasco, in provincia di Pavia, un allevatore e un veterinario privato risultano indagati con l’accusa di non aver segnalato in tempo i primi casi di morti sospette. La segnalazione risale a giovedì 24 agosto, quando nell’ambito di un controllo di routine i veterinari dell’Ats di Pavia hanno riscontrato la presenza della peste in alcuni animali del recinto.«Le misure sono scattate subito - racconta Davide Calderone, direttore generale di Assica, l’associazione che riunisce i produttori nazionali di insaccati - le indagini hanno permesso di risalire a tutti i suini usciti dall’allevamento incriminato da metà luglio in poi, di rintracciare i macelli che sono entrati in contatto con quella carne e di ritirare ogni prodotto. Lunedì 28 agosto il ministero della Salute ha anche provveduto a sospendere l’attività di certificazione all’export extra-Ue per tutte le aziende che in un modo o nell’altro erano entrate in contatto con queste carni».
L’intervento delle autorità è stato rapido e per il momento non ci sono stati abbattimenti negli allevamenti circostanti. Ma un nuovo caso è stato identificato a Montebello della Battaglia, sempre in provincia di Pavia, e da lunedì 28 agosto le autorità regionali hanno deciso di alzare la guardia: la Lombardia, di concerto con l'Emilia Romagna, ha stabilito che sul territorio regionale ogni movimentazione di suini in partenza dagli allevamenti dovrà essere subordinata a visita clinica, verifica dell’andamento della mortalità, prelievo di milza a campione sui soggetti morti ed eventuale prelievo di sangue da soggetti malati. Inoltre negli allevamenti suini entro un raggio di 10 chilometri attorno al focolaio di Zinasco, è vietata qualsiasi movimentazione di animali, sia in entrata che in uscita.
Il piano sanitario è di quelli a maglie strette e dovrebbe contribuire a individuare presto nuovi casi sospetti. La preoccupazione del comparto suinicolo però è molto alta, perchè la probabilità che vengano a galla ulteriori contagi è concreta. «Abbiamo passato mesi a sperare e a pregare ma ora ci siamo, la peste suina è entrata nei nostri allevamenti e questo è certamente il peggior scenario possibile - sostiene Alberto Cortesi, presidente di Confagricoltura Mantova - c’è rabbia perché si è fatto poco per cercare di contrastare l'avanzata dell'epidemia, e ora a pagarne le conseguenze sono gli allevatori. Il settore suinicolo lombardo, ma anche quello italiano, sono a serio, serissimo rischio. È tempo che chi debba aprire gli occhi li apra, non avremo altre possibilità».
Anche l’industria della trasformazione è in allarme. In questi mesi l’Assica ha spedito ripetute lettere al governo per denunciare l’inefficacia e l’inefficienza delle misure di contrasto messe in campo finora, a un anno e mezzo ormai dalla scoperta dei primi casi in Liguria e in Piemonte, comprese le attività del Commissario straordinario. «L’unità di crisi centrale del ministero della Salute, insieme con le Regioni, ha definito le azioni comuni per gestire animali e prodotti, ma qui non si stanziano fondi», ha ricordato Calderone.
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