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la progettazione partecipativa migliora le scuole (e lo studio)

di Osservatorio mira

2' di lettura

Sempre più il design eccede i confini disciplinari e le categorie del disegno industriale per farsi pratica relazionale a
sostegno delle persone nell’esplorazione di nuovi modi per un vivere più sostenibile.

Un esempio di questa tendenza è il bando «Wonder. Sperimentazioni nel design per l’innovazione sociale» di Fondazione Compagnia di San Paolo che, partendo dall’identificazione di una leva strategica della città di Torino – l’intersezione fra la vocazione all’imprenditoria sociale e alla progettazione nell’ambito del design – ha fatto incontrare designer ed enti del terzo settore con lo scopo di realizzare progetti con un impatto sociale positivo sul territorio.

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Gli elementi di novità e successo dell’iniziativa rispetto agli obiettivi preposti si riscontrano in «Cortili in Azione – La bellezza come Bene Comune», uno dei progetti vincitori del bando, che ha previsto l’intervento di Sheldon.studio, realtà di Bolzano specializzata nell’interactive data design, all’interno di un progetto di riqualificazione dei cortili scolastici, già avviato dall’ente del terzo settore Architettura senza frontiere Piemonte, in diversi plessi di Torino e dintorni.

Uno degli approcci proposti è stata la sperimentazione del metodo della Participatory Data Phisicalization (una visualizzazione fisica dei dati che permette alle persone di partecipare attivamente alla loro raccolta), proposto con diverse attività all’intera comunità scolastica e agli abitanti del quartiere proprio all’interno del cortile protagonista del progetto. Il coinvolgimento del designer e dell’ente del terzo settore in una modalità progettuale collaborativa ha portato il progetto oltre il suo scopo iniziale, allargandolo da un percorso aperto alla sola comunità scolastica alla divulgazione di una nuova visione di questi luoghi come bene comune condiviso tra la scuola e la città.

Nonostante la natura sperimentale e il micro contesto di applicazione del progetto, le parole delle progettiste di Architettura senza frontiere Piemonte hanno fornito una testimonianza del potenziale di scalabilità e replicabilità del medesimo: «Lavorare con uno studio di design ha permesso di sciogliere la complessità del progetto, traducendone i valori in messaggi chiari e facilmente
condivisibili per poter rendere il progetto accessibile e replicabile in altre scuole, insegnandoci inoltre nuovi metodi progettuali che potremo riproporre in futuri altri progetti», hanno detto».

Un traguardo il cui raggiungimento è stato possibile anche grazie al contributo portato da Sheldon.studio, realtà con alle spalle una consolidata esperienza nel social design, come racconta il designer Matteo Moretti: «I progetti di social design possono avere un grado di complessità particolarmente elevato: si tratta di processi che includono tante e diverse voci con le quali negoziare il progetto e la sua sostenibilità nel tempo. Una volta concluso, viene affidato alla comunità di destinazione, che se ne prende cura se si riconosce nel progetto al quale ha contribuito. Si tratta di un processo con un alto potenziale trasformativo».

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