La ricerca di rendimenti spinge gli asset alternativi e illiquidi
La diversificazione dei portafogli alloca risorse in attività immobiliari e mobiliari. Gli hedge fund mantengono la leadership del segmento ma il private equity è in continua crescita
di Andrea Gennai
3' di lettura
Asset alternativi e private banking: un binomio sempre più saldo negli ultimi anni. Complice la repressione finanziaria e la ricerca di extra-rendimenti, fette crescenti dei portafogli con elevate disponibilità vengono destinate ad asset alternativi e illiquidi.
Gli investimenti in attività illiquide possono prendere in considerazione sia attività immobiliari che mobiliari. Concentrando l’attenzione solo su queste ultime l’investimento avviene di solito attraverso i Fondi di Investimento Alternativi (Fia), che possono essere fondi di private equity, di private debt, di investimento in infrastrutture o forme miste. Tali investimenti sono caratterizzati da elevati rischi a fronte di elevati rendimenti potenziali.
«In particolare - spiega Giordano Beani, head of Multi-asset fund solutions di Amundi Sgr - si sottolineano i rischi di liquidità, dato che investono in attività non quotate, ed i rischi di orizzonte temporale, dato che la durata media va dai 6 agli 8 anni e oltre, spesso senza finestre di uscita intermedie». Inoltre, vi sono dei rischi operativi, dato che le probabilità di default di uno o più investimenti del Fondo non sono trascurabili e possono incidere in modo significativo sul rendimento finale.
«Per tali ragioni - continua Beani - già a livello normativo sono previsti dei limiti all’investimento per investitori non professionali. Infatti, per prodotti di diritto italiano l’investimento minimo richiesto è di almeno 500.000 euro. Pertanto per le considerazioni esposte si ritiene opportuno limitare la presenza di tali investimenti al massimo al 10% del patrimonio mobiliare di un investitore privato».
Il mondo degli asset alternativi cresce costantemente. Prequin ha appena lanciato il secondo report annuale “Alternatives in Europe”, realizzato in partnership con Amundi. Il report evidenzia che nonostante il quadro macroeconomico europeo si sia indebolito negli ultimi 24 mesi, l’industria degli asset alternativi nell’area continua a rafforzarsi. Il 2018 ha registrato un’attività record per la maggior parte delle asset class alternative e a fine giugno 2018 le società di gestione europee detenevano 1.620 miliardi di euro di masse gestite in asset alternativi, con un incremento di quasi 300 miliardi di euro in soli tre anni.
Più cresce la ricerca di rendimenti, più aumentano i rischi anche se ovviamente la diversificazione è uno dei pilastri chiave soprattutto per i portafogli con elevate disponibilità dove l’obiettivo principale è la difesa del patrimonio dall’inflazione.
Il mondo degli asset alternativi è molto variegato e all’interno ci sono categorie profondamente diverse tra loro. Gli hedge fund rappresentano l’asset class più ampia (608 miliardi di euro), ma le masse gestite sono diminuite del 9% nel 2018 a causa della sottoperformance. Il private equity, nel frattempo, è cresciuto dell’8% nella prima metà del 2018, raggiungendo i 559 miliardi di euro.
Questo dato va di pari passo con il fatto che nel 2018 sono stati raggiunti valori di transazione record per le acquisizioni di private equity, venture capital e per le transazioni infrastrutturali in Europa. Di conseguenza, i deal di private capital hanno raggiunto un valore record di 375 miliardi di euro
Nel 2019 nel settore degli asset alternativi operano 6.300 fund manager e 3.000 investitori basati in Europa. A dispetto delle tensioni legate alla Brexit e nonostante che a oltre tre anni dal referendum non è stato ancora raggiunto un accordo per l’uscita della Gran Bretagna dalla Ue, il Regno Unito rimane il mercato di gran lunga più ampio, con gestori basati nel paese che detengono masse pari a 948 miliardi di euro. Nel 2018 sono stati raggiunti i livelli di attività del 2015, invertendo così il declino osservato in seguito al voto sulla Brexit.
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