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La ricetta dell’eternità: una chiave di volta per guardare al futuro

Il valore di manager e i professionisti che desiderano custodire e coltivare il domani, vivendo i contrasti come opportunità di crescita

di Costanza Biasibetti *

(REUTERS)

4' di lettura

Quando si sopraggiunge a Jerash, l'antica città romana di Gerasa in Giordania, viene istintivo sostare almeno qualche secondo in trepidante ammirazione di fronte al grande arco di Adriano che ne costituisce il principale accesso. Fuori dal tempo e dallo spazio, Jerash conserva il fascino e gran parte delle architetture originali degli antichi fasti romani: ogni mattone, ogni pietra, ogni fontana e ogni decorazione sono pezzi di una preziosa eredità lasciata ai posteri nel cuore del deserto. I beduini, abitanti locali della cittadella nuova, attendono turisti e curiosi tra i colonnati e all’entrata del tempio di Artemide, vendendo ninnoli o raccontando antiche leggende.

Io ho avuto l’onore di visitare la città con gli occhi appassionati di Andrea Angelucci, archeologo e conduttore del programma tv Art Rider, perennemente alla ricerca di meraviglie antiche da raccontare e condividere. Mentre Andrea disegnava (con le parole e con gli acquerelli) quella che doveva essere la vita a Gerasa nei primi secoli d.C., il mio sguardo ne catturava alcune scintille: ancora incandescenti, hanno acceso in me il desiderio profondo di capire dove quella bellezza volesse portarmi, cosa quello spettacolo dell’antico potesse insegnarmi per decriptare il presente e progettare il futuro.

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Come donna, come professionista, come cittadina: c’è ancora modo di rendere eterno qualcosa? C’è un metodo di costruzione delle nostre idee, dei nostri business, dei nostri progetti, che possa donare loro lunga vita?

1) “Le cose curate ti permettono di sentirti parte di qualcosa di grande”.
Nella via sacra, quella principale che conduce al tempio, Andrea mi mostra un antico ninfeo, una sorta di fontana, interamente conservata, di cui notiamo, proprio sul marciapiede di fronte, un tombino. È decorato con pesci in rilievo, grossi e ricurvi. Sono lì perchè ogni volta che l’acqua vi ricadeva all’interno, sembrava che i pesciolini si muovessero. Il nostro tempo cura poco i dettagli. O meglio, le culture e le società del nostro tempo faticano a curare i dettagli, così immerse in un’evoluzione incostante ed incontrollata, moderna e minimale a volte per reale progetto, a volte per timore di non non essere all'altezza.

Un po’ potrebbero anche avere ragione: ogni contenuto ha vita così breve che curare i dettagli ci appare ormai inutile consuetudine. Ma non è così. Angelucci sfiora le pietre degli archi, e mi svela uno degli ingredienti della ricetta dell’eternità: le cose curate ci fanno sentire protagonisti di una struttura più grande di noi, parte di una scelta di coraggio che non teme la morte, la sconfitta o il passare degli anni.

Ho pensato che i dettagli - per davvero - fanno la differenza, in grado perfino di tramutare un insieme casuale di parole in un libro, una manciata di passi in una danza, un tombino in un’opera d'arte. Sono loro, i piccoli gesti e le cure spicciole, che ci fanno sentire parte di qualcosa di grande, più grande di noi, in grado di proteggerci ma anche di raccontarci, di ampliare i nostri confini ed orizzonti. Ecco qual è il senso di investire nei dipendenti, nel loro valore umano, nella costruzione e nella custodia della loro serenità, nella ricerca della bellezza, nell’inclusività dinamica.

2) Quando i contrasti convivono.
Oltre le colonne di Jerash antica, sorgono i palazzi della cittadella nuova: una distesa di edifici squadrati, disposti su file doppie e quadruple, un’accozzaglia di cemento stesa a macchia d’olio in totale discontinuità con il sito archeologico. È un contrasto tangibile, specchio rivelazione di una contemporaneità che non guarda in faccia niente e nessuno. “Chissà com’era senza tutta questa bruttura”, ho sussurrato. E Andrea mi ha prontamente risposto: “anche all’epoca di massima bellezza di Gerasa, oltre il cuore della città, sorgevano case popolari e baracche. E la vista era molto simile a questa”.

Non mi ero resa conto che anche il passato avesse i suoi contrasti inspiegabili e le sue contraddizioni, non così forti, non così palesi. Siamo abituati a guardarci indietro, ad ammirare e rimpiangere i tempi andati come età dell'oro passate e disperse. Ma i contrasti sono da sempre e torneranno, abitano il nostro mondo senza sosta, ci ricordano che l’uomo si ripete sempre identico a se stesso ma anche sempre più consapevole e in trasformazione. C’era forse meno cemento, ma non meno persone e meno vita.

L’antica Jerash, con i suoi infiniti contrasti, evoluti nel tempo e mai del tutto scomparsi, ci mostra le anime che convivono anche dentro di noi, nelle nostre città, nelle nostre aziende: quel desiderio continuo di separare male e bene, giusto e sbagliato. L’età dell’oro è nelle nostre mani, siamo noi Re Mida ogni volta che scegliamo un’offerta da un partner, che facciamo la spesa, che preferiamo andare a piedi e non in autobus.

3) L’Eternità non esiste.
Ma allora, qual è la ricetta dell'eternità? Andrea Angelucci afferra il suo taccuino, siede a terra e disegna. Con pazienza, seleziona le sfumature, acquerella le linee, riporta fedelmente ciò che vede, studia centimetro per centimetro la struttura che sorge dinanzi a lui (da molto più tempo di lui). La ricetta dell’eternità - credo io - inizia da qui: dal considerare, dal trarre giù dall’Olimpo alla terra le strutture che ci sembrano inarrivabili, da una progettazione dinamica e duttile che nasce da un’osservazione attenta e precisa.

Disegnare e dipingere sono solo alcuni degli strumenti che abbiamo a disposizione per fare nostro il passato e renderlo insegnamento per il futuro. L’eternità - sola - non esiste: esistono i manager e i professionisti che desiderano custodire e coltivare il domani, esistono le persone che sanno vivere un’epoca densa di contrasti come opportunità di crescita, come spazio da fare proprio e nel quale esprimere la propria identità, il proprio tratto distintivo.

* Consulente Newton SpA


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