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La riforma della Ue e i rischi dell’allargamento

Nel disinteresse della politica italiana, il 18 settembre scorso è stato pubblicato un Rapporto (Sailing on High Seas: Reforming and Enlarging the EU for the 21st Century), scritto da un gruppo di esperti francesi e tedeschi su richiesta dei rispettivi governi.

di Sergio Fabbrini

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4' di lettura

Nel disinteresse della politica italiana, il 18 settembre scorso è stato pubblicato un Rapporto (Sailing on High Seas: Reforming and Enlarging the EU for the 21st Century), scritto da un gruppo di esperti francesi e tedeschi su richiesta dei rispettivi governi. Di fronte alla pressione ad allargare l’Unione europea (Ue), il Rapporto riconosce che non si può ripetere l’esperienza del 2004 e del 2007, quando 12 Paesi (principalmente dell’Europa orientale) entrarono nell’Ue, senza che venisse precedentemente riformata l’architettura istituzionale e il sistema decisionale di quest’ultima, né che venissero previsti meccanismi stringenti per garantire il rispetto dello stato di diritto da parte dei nuovi entrati. Eppure, sono in molti a pensare che, sotto la pressione dei Paesi dell’Est (Polonia in particolare), l’allargamento sarà inevitabile. Le cose non stanno così.

Per aiutare l’Ucraina in guerra, il 27 aprile 2022, nel contesto dell’Accordo di Associazione, la Commissione europea abolì i dazi doganali per le merci ucraine esportate nel nostro mercato unico. Il 24 maggio 2022, il Consiglio dei ministri dell’Ue adottò un regolamento di liberalizzazione temporanea del commercio tra l’Ucraina e l’Ue, con particolari concessioni all’esportazione della produzione agricola dell’Ucraina. Il 12 maggio 2022, l’Ue istituì delle corsie di solidarietà (“solidarity lanes”) per favorire l’esportazione dei prodotti agricoli ucraini, visto che la Russia aveva bloccato i porti del Mar Nero, da cui l’Ucraina esportava circa il 90% del suo grano e semi oleosi. Dopo pochi mesi, però, gli agricoltori della Polonia, Ungheria, Bulgaria, Romania, Slovacchia cominciarono a protestare contro l’apertura commerciale all’Ucraina, in quanto la loro produzione agricola era divenuta meno competitiva. Nonostante il 28 aprile 2023 il Consiglio dei ministri dell’Ue concordasse di estendere per ancora un anno la sospensione dei dazi doganali a favore delle merci ucraine, il 16 aprile precedente la Polonia e l’Ungheria (seguite subito dopo da Slovacchia, Bulgaria e Romania) avevano deciso di introdurre unilateralmente l’embargo alle merci ucraine, nonostante le politiche commerciali siano di competenza esclusiva della Commissione. A questo punto, all’inizio di settembre 2023, il governo ucraino decise di denunciare i governi in questione di fronte all’Organizzazione Mondiale dei Commerci per pratiche contrarie alla fair competition. Pochi giorni dopo, il governo polacco, che dovrà affrontare le elezioni del prossimo 15 ottobre in cui il voto degli agricoltori farà la differenza, dichiarò che non avrebbe più aiutato militarmente l’Ucraina a difendersi dalla Russia. Come ha detto Ivan Krastev, quest’ultima «ha scoperto di confinare con le elezioni polacche, non già con la Polonia».

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Non solo l’allargamento non è inevitabile, ma esso è destinato a creare più problemi che soluzioni. Con l’allargamento, è plausibile ipotizzare che si allargherebbe l’area di opacità relativa al rispetto dello stato diritto, così come è certo che aumenterebbe il numero dei veto-players nel processo decisionale dell’Ue. Nei pacchetti di sanzioni alla Russia, ad esempio, è stato sufficiente il voto della piccola Ungheria (meno di 10 milioni di abitanti) per bloccare più volte decisioni volute dal resto dell’Ue (che rappresenta 450 milioni di abitanti). L’allargamento è destinato a snaturare l’Ue sul piano della sua identità democratica, oltre che a bloccarne il funzionamento sul piano delle politiche pubbliche che dovrebbe gestire. Nello stesso tempo, è evidente che occorre rafforzare l’Ucraina nella sua resistenza all’imperialismo russo, così come occorre prevenire che i Balcani occidentali scivolino verso Mosca. Il Rapporto franco-tedesco riconosce tale complessità, rifuggendo dal semplicismo dei precedenti allargamenti. Un semplicismo basato sull’assunto che gli Stati che vogliono entrare nell’Ue condividano la finalità integrativa di quest’ultima (l’Unione sempre più stretta), anche se la perseguono con velocità diverse. Un assunto smentito dai fatti. Il Rapporto rivede lo schema tradizionale di allargamento, delineando risposte distinte a finalità distinte. Di qui, la proposta di dare vita a quattro livelli (tiers) diversi di aggregazione: un cerchio ristretto costituito dai Paesi dell’Eurozona e dell’Area di Schengen impegnati a condividere politiche anche nel campo della difesa e della fiscalità; l’Ue costituita dagli attuali 27 Paesi a condizione che rispettino i principii dello stato di diritto (pena l’esclusione dai fondi di coesione e dalle politiche redistributive); i Membri Associati, partecipanti al mercato unico, ma non rappresentati nel Parlamento europeo o nella Commissione europea, con possibilità di tribuna ma non di voto nel Consiglio dei ministri; infine la Comunità politica europea, aperta a tutti gli Stati europei che hanno interessi geopolitici convergenti, soprattutto nella sicurezza, oltre che nell’energia e nell’ambiente. Questi Stati non faranno parte del mercato unico, né saranno ritenuti a rispettare le leggi dell’Ue o i suoi principii relativi allo stato di diritto. Sul piano economico, i rapporti tra questi Paesi avranno le caratteristiche di un Free Trade Agreement, con forme di coordinamento, e non solo di cooperazione, nelle politiche di comune interesse. Insomma, la Francia e la Germania si stanno ponendo il problema di come dovrà essere il futuro dell’Europa. Stanno disegnando un’Europa plurale e non già un’Ue differenziata. Cosa ne pensa la politica italiana?

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