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La ripresa passa (anche) dalla formazione professionale

Occorre creare le condizioni per far crescere le imprese attraverso una politica industriale, allenando e sviluppando il talento dei manager

di Gianni Rusconi

(Foto: Porsche Consulting GmbH / Marco Prosch)

4' di lettura

Associare la teoria alla prassi, combinando ricerca e risultato, metodo e innovazione. I temi della formazione e del reskilling, tornato prepotentemente al centro dell’attenzione quale uno dei pilastri necessari per sostenere il percorso di ripresa e resilienza attraverso la maggiore disponibilità di competenze, si declina in diversi modi. L’essenza dei master di Cuoa Business School, una delle più importanti scuole di management italiane, è per l’appunto quello di miscelare più elementi per preparare gli allievi ad affrontare sfide che lo stato di incertezza economica globale rendono ancora complesse e durature per aziende e organizzazioni di qualsiasi genere.

La convinzione di tutti è che solo solide e robuste competenze potranno aiutare le imprese (e i manager) a superare in modo efficace e consapevole difficoltà che riflettono il mismatch che sta vivendo il mercato del lavoro, scegliendo le strategie da mettere in atto per contrastare lo stato di crisi e, naturalmente, anche i percorsi di formazione professionale più adeguati, guardando alla collaborazione tra imprese e università come a uno degli elementi determinanti per stimolare innovazione e occupazione di qualità.

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Il tutto in uno scenario che vede l’Italia indietro nella spesa per l’istruzione universitaria (siamo circa il 30% sotto la media nei Paesi Ocse) e che ha nei fondi del Pnrr un’opportunità grandissima da sfruttare per favorire e agevolare la transizione verso un’economia basata sulla conoscenza. Ne abbiamo parlato con il presidente di Cuoa Business School (nonché attuale presidente di Federmeccanica), Federico Visentin.

Partiamo da uno degli aspetti del problema: i giovani e l'orientamento alla professione.
È uno dei temi. I giovani, in linea generale, vogliono trovare nel lavoro soddisfazione da subito e tendono sempre di più a privilegiare la componente del work life balance: viene di conseguenza meno il modello di sviluppo della carriera che parte dal basso e che prevede avanzamenti del proprio status professionale step by step. È un cambiamento radicale, che deve essere sostenibile e per esserlo serve un tessuto di impresa, in Italia a radice prevalentemente manifatturiera, che sia fortemente ricettivo e maggiormente strutturato, anche in termini dimensionali. E serve, naturalmente, anche maggiore organizzazione del lavoro.

La mancanza di profili professionali specializzati, soprattutto in ambito tech, è evidente.
Il problema non è limitato alle sole figure specializzate in ambito digitale e informatico. Le piccole e piccolissime imprese stanno soffrendo a trovare personale generico e con competenze basiche, e non solo tecnici e profili professionali elevati. La causa? Un mix di fattori. Uno di questi è il numero di soggetti con conoscenze tecniche che escono dagli ITS, che andrebbero moltiplicati per arrivare ai livelli di Paesi più evoluti come la Germania. La buona notizia è che oggi ci sono dei progetti concreti sul tavolo, fondi importanti da spendere, maggiore strutturazione e la volontà di puntare su percorsi di alternanza scuola lavoro non unicamente finalizzati all’orientamento bensì alla pura formazione di competenze. La manodopera, e cito le parole di un importante imprenditore, deve diventare testa d’opera.

E poi ci sono da preparare i manager di domani, con l'alta formazione professionale.
Servono politiche attive da parte del Governo, perché dobbiamo formare un tessuto di risorse fatto di bassa scolarità e fare attività di reskilling in modo strutturato. Il progetto Fonditalia, alimentato con le risorse del PNRR può essere un grande e importante veicolo per fare cultura di impresa. Un altro compito a cui siamo chiamati è quello di creare le condizioni per far crescere le imprese attraverso una politica industriale: abbiamo cioè il compito di allenare e sviluppare il talento dei manager che devono gestire queste organizzazioni, partendo dalla visione strategica delle grandi e grandissime aziende in grado di coinvolgere istituzioni e settore education. L'alta formazione opera per l'appunto per colmare questo gap di competenze: non basta più istruire i nuovi manager su tecnologie, modelli di business o lead management, ma il vero focus è formarli per far crescere le imprese attraverso operazioni di fusione e acquisizione e investimenti di capitali.

Si parla tanto di ecosistema, di cooperazione aperta fra imprese e università. È la strada giusta?
Le università sono state finora un player mancato al fianco delle imprese. Oggi c’è però la consapevolezza che la sinergia fra questi due mondi è necessaria e c’è maggiore predisposizione ad investire in questa direzione. Il progetto Cuoa University Network Business School va esattamente in questa direzione: 17 gli atenei coinvolti e che hanno aderito come sostenitrici, e fra questi nomi di primo piano come la Sapienza di Roma, il Politecnico di Torino, la Statale di Milano o Ca’ Foscari di Venezia. Si tratta di un progetto originale e unico in Italia, che ha l’obiettivo di valorizzare le esperienze e le competenze dei singoli atenei, e della nostra business school, nella definizione e nella realizzazione di percorsi di formazione manageriale a favore dei diversi territori di riferimento.

È un modello scalabile?
È un modello di rete a elevata capacità competitiva e distintiva, in grado di far emergere le intelligenze e i talenti coltivati nelle università italiane e le straordinarie doti imprenditoriali, produttive e creative delle nostre imprese. È un percorso iniziato nel 2019, con l’obiettivo di creare un network universitario capace di lavorare in modo sinergico e coeso per lo sviluppo delle competenze, motore e leva per il successo delle organizzazioni e del Paese. Cuoa, in altre parole, fa da ponte e da aggregatore delle eccellenze formative nazionali: è la strada da seguire per sviluppare la cultura manageriale dei territori e mettere a sistema le eccellenze. Siamo all’inizio, il Governo e il nuovo esecutivo ci devono credere.


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