La rivoluzione culturale del cibo italiano a Parigi
di Riccardo Piaggio
3' di lettura
Il cibo - come la cultura - è parte integrante del nostro essere nel mondo. Il cibo è una questione d'identità (Wittgenstein), ma prima di tutto, mette in gioco la nostra relazione con gli altri e con il mondo (Augé); in questo caso, è essenzialmente una questione etica. Ed estetica, connessa con quella scintilla che tutto muove: il desiderio, l'armonia, la bellezza. A cercare la migliore sintesi tra etica ed estetica è ora un'operazione commerciale che avrà profonde ripercussioni non solo (assai positivamente) su un brand francese molto potente nella grande distribuzione, ma soprattutto sull'immaginario dell'Italia a Parigi e nel mondo.
Parigi è la seconda meta turistica al mondo e una vetrina internazionale con poche, forse nessuna, città rivali. Ma in gioco non ci sono (solo) pizze eatalyane, mozzarelle e barolo. C'è qualcosa di più, che modificherà profondamente la mappa del gusto francese, ancor più di quanto non ha fatto, lo scorso anno, la nascita del brand
Venerdì sera 12 aprile, alla presenza del Presidente di Eataly Andrea Guerra e del Responsabile dell'operazione parigina Thierry Bart, spalanca le sue porte Eataly Paris, ospitata (e amministrata) da Nicolas Houzé, Direttore di Galeries Lafayette et BHV Marais, colosso del way of Life francese. Nel cuore del distretto turistico del Marais, a pochi passi da Hotel de Ville e dal Centre Pompidou, in rue Sainte-Croix de la Bretonnerie, l'art de vivre à l'italienne sarà rappresentata in oltre 4.000 metri quadrati di ristoranti minute (sette, dove verranno cucinati sl momento i prodotti in vendita), mercati (otto, con prodotti freschi, l'épicerie e la più grande enoteca di vini italiani di Parigi), una scuola di cucina popolare (ce n'era oggettivamente bisogno) e naturalmente la vendita al dettaglio della selezione Eataly delle eccellenze territoriali italiane.
La rivoluzione di Eataly Paris non risiede nei forni per la pizza arrivati dall'Italia o negli scaffali con i miracoli del gusto italiano (eccellenze che in parte a Parigi si trovano già da tempo, in piccoli templi del gusto al giusto prezzo - almeno per gli standard della Capitale - come l'épicerie RAP) ma nella creazione di un ecosistema. Eataly è da oggi e letteralmente al cuore del progetto Lafayette: questo villaggio diffuso dedicato ad una delle poche cose che ancora ci invidiano nel mondo (e in Francia) è strategicamente appoggiato in mezzo al distretto del Made in France, tra il BHV (da sempre icona della moda e della distribuzione di prodotti della fascia lusso) e la nuova Fondazione dedicata all'arte contemporanea Lafayette Anticipations.
Con questa nuova piazza ideale della provincia italiana del Marais, il Gruppo francese sceglie di sposare l'identità culturale, così vicina e così lontana, dei cugini italiani. Da una parte il repas gastronomique (nel reparto dedicato di Lafayette troveremo ancora caviale, foie gras e paté en croute), dall'altra la grande cucina popolare italiana. Su questa alleanza si fonderanno alcune tra le sfide più strategiche del prossimo decennio; l'art de vivre à la française e la sua arte gastronomica, cui verrà proprio dedicato tra un anno un nuovo Museo all'Hotel de la Marine in Place de la Concorde, è un Patrimonio Unesco, così come l'arte del pizzaiolo napoletano e nostra la Dieta Mediterranea.
Se il modello dell'alta gastronomia è in crisi (per questioni di insostenibilità culturale, ambientale ed economica), la cucina popolare, fondata sul prodotto, sulla semplicità e sulla filiera corta, è il paradigma su cui le due culture gastronomiche più celebri al mondo potranno immaginare il futuro del cibo. Per ordinare dispense e apparecchiare i tavoli del futuro, servono momenti di confronto tra identità forti e aperte (quella italiana e quella francese), come il Convegno Unesco sul tema dello scorso anno e la Table ronde sui Vilains del Maif Social Club, lo scorso novembre.
Eataly-Lafayette sapranno evitare la trappola della globalizzazione del gusto da una parte e della sua tipizzazione (folklore) dall'altra? Buono, pulito e giusto, il mantra del fondatore di Slow Food Carlin Petrini, è ancora il manifesto ideale del progetto Eataly, ma non indica ancora la sua mappa per orientarsi nel nuovo ecosistema creato dal Gruppo francese, decisamente entusiasta della nascita del nuovo distretto del gusto parigino, pronto a trasformare finanche i citoyens, affezionati ai trionfi di crème fraiche e frites delle brasserie della Capitale, in consumatori (consapevoli) di tomini e focacce. Il tutto, in nome del cibo buono e pulito. Giusto?
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