La Russia di Alessandro I, le piccole nazioni e l’oggi
Chiusi nelle scansie, i libri di lontane letture. Poi, altre curiosità, sviarsi di interessi e gusti, impegni di lavoro.
di Natalino Irti
3' di lettura
Chiusi nelle scansie, i libri di lontane letture. Poi, altre curiosità, sviarsi di interessi e gusti, impegni di lavoro. Ma ecco che un evento inatteso o singolari circostanze del mondo ne ridestano la memoria. È la necessità del ritorno a un amico, che ci fu utile e prezioso.
Così si riapre il saggio “Due secoli di pensiero politico russo”, che nel 1943 Wolf Giusti consegnò alla “Biblioteca storica Sansoni” diretta dal grande Federico Chabod. Vi si narra, disegnando l’epoca di Alessandro I, di Pavel Ivanovic Pèstel, giovane soldato nella campagna contro Napoleone, fattosi poi autore di una costituzione nota sotto il nome di Rússkaja Právda.
Documento, così riassunto dal Giusti (e qui Lo Spettatore non può che offrire, quasi per intero, il testo di pagina 63): «La Russia è immensa, ma accanto al popolo russo vi convivono numerose altre nazionalità. Da “buone frontiere” derivano la prosperità della nazione e la garanzia della pace: le piccole nazioni sottomesse a un grande popolo mirano spesso all’indipendenza; a sua volta, un grande popolo vuole frontiere sicure e cerca di impedire che i piccoli popoli viventi ai suoi margini cadano nell’orbita di un altro grande stato. Tutti e due questi punti di vista appaiono giustificati al Pèstel’: tuttavia i popoli troppo piccoli per avere un’effettiva possibilità d’indipendenza, devono, secondo lui, accettare la protezione d’un grande stato, altrimenti non diverrebbero che motivo di lite e terreno di battaglia tra grandi stati. Le piccole nazionalità devono venire a trovarsi così soddisfatte in seno alla grande nazionalità nei cui limiti vivono, “da dimenticare la loro precedente debole nazionalità” ed entrare con gioia nella nuova comunità nazionale».
Il Pèstel accorda a Polonia, ma nega a Finlandia, Estonia ed altri paesi baltici, Biancorussia, Piccola Russia, Bessarabia, Crimea, Georgia, regioni del Caucaso e della Siberia; a tutti nega il diritto di nazionalità: «sono popoli troppo piccoli, appartenenti da tempo alla Russia e, più o meno, senza tradizioni di vera indipendenza; queste nazioni, a causa della loro piccolezza o debolezza, non potranno quindi formare stati indipendenti».
Il vecchio documento, o manifesto politico, di Pèstel non è di certo fonte legittimante, a distanza di due secoli, per disegni di espansione territoriale o strategie militari. Ma pure testimonia la storicità dei problemi, di motivi e tensioni, che - ora palesi ora silenziosi e sommersi - tracciano il cammino di un Paese e vi imprimono il segno di un destino. Ed anche rivela la necessità che pronunzie verbali e concrete azioni, scelte e decisioni di governo, sorgano da profonda consapevolezza storica, si interroghino intorno ai perché, e non cedano a una sorta di primitività senza passato. Che non è “giustificare”, ma piuttosto rigoroso esercizio di pensiero e di spirito critico: quel “ricostruire” storico, il quale è anche serio “costruire” dell’oggi e del domani. Se è vero che la storia – come temono alcuni filosofi – può recar danno alle energie vitali, è altresì vero che queste possono esprimersi con meditato disegno soltanto alla luce del passato. Chi ignora il passato, ignora anche il presente, dove si aggira in preda a torbide emozioni ed a primitività di istinti. L’azione politica, che duri nel tempo e abbia significato nella vita d’un popolo, nasce da lucida consapevolezza dei “perché”, dal cogliere la complessità delle situazioni storiche, le quali rifiutano il semplicismo burocratico e lo zelo servile, ed esigono lo sguardo lungimirante dello statista.
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