teatro alla Scala

La Scala è vuota ma alla prima le stelle brillano

E' stata una cosa “difficile, complessa”, una “esperienza straordinaria dal punto di vista acustico” ha detto il direttore artistico Riccardo Chailly

di Stefano Biolchini

(ANSA)

4' di lettura

Increduli e attoniti: entrare in una Scala vuota con la scena pienamente occupata da un grande schermo è un’emozione straniante. I palchi vuoti, niente fiori, il pubblico- a livello del palcoscenico - siamo solo noi giornalisti accreditati. E’ la prima di Sant’Ambrogio al tempo del Covid ed è un acuto vedere il Piermarini così vuoto. Poi è la voce di Mirella Freni, scomparsa il 9 febbraio a riscaldare questo 7 dicembre, appena prima delle note roboanti del nostro Inno, cui il maestro Riccardo Chailly non ha di certo rinunciato, con la maestria di sempre che lo ha visto protagonista da par suo per l’intera serata nella direzione di un’orchestra che non si è smentita neppure stavolta. Ed è così di nuovo la Scala ritrovata, un teatro che osa dopotutto, con una magia insolita ma non del tutto smarrita.

Teatro alla Scala, la prima più strana è pur bella

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Riccardo Chailly

E' stata una cosa “difficile, complessa”, una “esperienza straordinaria dal punto di vista acustico” ma con la speranza che non accada più” spiega fin da principio il direttore Chailly introducendo noi tutti alla registrazione dei brani che compongono lo spettacolo al debutto dalla Scala su Rai 1. “Brani di 15 autori con stili diversi che un'orchestra di meno esperienza avrebbe faticato a realizzare, soprattutto in così breve tempo. Cosa, ha aggiunto, possibile anche grazie “alla confidenza reciproca''. “Purtroppo dopo l'ultima nota il silenzio assoluto e i palchi vuoti sono momenti - ha sottolineato - di grande emozione e di grande mancanza, Facciamo musica per chi? Non per noi manca l'elemento per cui ci raccontiamo””. Certo aver “vissuto più 40 anni sala incisione ha aiutato” ma “è un unicum che mi auguro non si ripeta e che possiamo tornare a far musica insieme”.

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Giuseppe Verdi

Giuseppe Verdi, con ben 10 brani eseguiti (con fin da principio Luca Salsi, tra i migliori della serata, in “Cortigiani vil razza dannata” da Rigoletto, e sempre da Rigoletto “La donna è mobile” interpretato da Vittorio Grigolo, “Ella giammai m'amò” da Don Carlo e un super Filippo II, Ildar Abdrazakov; discreto in “Per me giunto” Ludovic Tézier dal Don Carlo, e in “Morrò, ma prima in grazia” da Un ballo in maschera, una conferma ancora per la brava Eleonora Buratto, oltre a in “Ma se m'è forza perderti” un Francesco Meli da 8 abbondante ) è come ovvio la vera star della serata, insieme a Rossini, Donizetti (con il soprano statunitense bella e brava Lisette Oropesa in “Regnava nel silenzio” dalla Lucia di Lammermoor e l’italiana brava anche lei Rosa Feola in “So anch'io la virtù magica” da don Pasquale), Puccini (in “Tu, tu piccolo Iddio” da Madama Butterfly Kristine Opolaisi, in “Signore ascolta” da Turandot ha cantato Aleksandra Kurzak, e in “Un bel dì vedremo” da Madama Butterfly il superbo soprano lettone Marina Rebeka ) , Giordano e Cilea; e ancora Bizet con la Carmen (in “La fleur que tu m'avais jetée” Piotr Beczala) al Massenet (“Pourquoi me réveiller” da Werther con il francese Benjamin Bernheim). Su tutto e tutti, in “Nemico della patria” da Andrea Chénier, l’incanto del Plácido Domingo di sempre.

Nello Schiaccianoci l’Adagio dal Grand pas de deux, Atto II hanno danzato in maniera precisa e netta Nicoletta Manni e Timofej Adrijashenko, mentre ha dell’incompreso - contrariamente a tutte e tutti i bravi e freschi Martina Arduino, Virna Toppi, Claudio Coviello, Marco Agostino - o forse del solo troppo incline al gramsciano nazionalpopolare che voleva e doveva essere la serata, la prova muscolare di Roberto Bolle.

Quasi un gran galà insomma, con ventidue stelle internazionali del canto che hanno interpretato alcune delle arie più celebri per condurre il pubblico della diretta televisiva di Rai 1 e non solo fino a “A riveder le stelle”. Tutti artisti d’eccezione, che hanno dimostrato quanto l’Opera sia viva e sappia lottare generosa e unita anche al tempo del Coronavirus, nel segno del Teatro. ”E ' stato emozionante vedere che il mondo della lirica ha voluto darci una mano, alla Scala e all'Italia”, ha chiosato il sovrintendente del teatro Dominique Meyer. E la Scala pur nelle difficoltà del momento, grazie alla sua orchestra e agli artisti e maestranze ha regalato a tutti una serata piena di citazioni, talvolta forse troppo veloci e prevedibili, con una regia d’impegno, quella di Davide Livermore, che sull’altare televisivo anche troppo concede alla retorica nel voler tutto contemplare, ma di sicura presa per il grande pubblico.

Un ultroneo Bruno Vespa, e incredibile a dirsi, perfino un pò impacciato, in conclusione sulla porta del teatro è con la presentatrice Milly Carlucci (non sarebbe stato meglio tagliar loro e accorciare il lunghissimo e “telefonato” intervento di Michela Murgia piuttosto che Wagner per star nei tempi della tv?). Lei, la Carlucci dicevamo, parla di un evento di portata mondiale. Ecco, è stata un’altra Scala certamente, nel segno del “di tutto di più” che piace tanto alla Rai . Eppure, le immagini di Milano nell’impeccabile ed emozionante gran finale del “Tutto cangia”, da Guglielmo Tell, restano e resteranno in questo 2020 funestato dal Covid. Con la garanzia di Chailly la Scala che non ti aspetteresti, lo ripeto, ha osato. Ed è un grazie, questo molto significa. Gli applausi - nostalgici - li scriviamo soltanto. In attesa di tornare a batter le mani il prossimo 7 dicembre.

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