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La scultura fuori dalla comfort zone della fisicità

Federico Giani, curatore della Fondazione Pomodoro, racconta i limiti che deve affrontare questo linguaggio e l’indagine di molti artisti contemporanei

di Maria Adelaide Marchesoni

Federico Giani

7' di lettura

La Casa della Scultura, così ribattezzò la Fondazione Arnaldo Pomodoro questo luogo nato nel 1995 per volontà dello scultore, oggi 96enne e sempre il presidente, da anni sempre è un luogo aperto alla rilettura dell'arte del Novecento e alla creatività dei giovani artisti. Federico Giani è il curatore della Fondazione che dal 2006 organizza il Premio Arnaldo Pomodoro per la Scultura, tra i pochi – in Italia e all'estero – dedicato a questo media al quale assegna un riconoscimento di 10.000 euro a un artista di età compresa tra i 25 e i 45 anni “la cui ricerca individuale esprima una riflessione sull'idea stessa e sulla pratica della scultura, ovvero un contributo significativo allo sviluppo della scultura nella sua contemporaneità”. Ed è proprio dalla contemporaneità della scultura che partiamo in questa intervista a Giani per farci raccontare le peculiarità di questo media ampiamente esplorato dagli artisti contemporanei e la sua discesa nel mondo virtuale.

Candice Lin, «Personal Protective Demon», 2023. Installation view alla GAM – Galleria d’Arte Moderna, Milano. Photo Carlos Tettamanzi, courtesy l’artista e Fondazione Arnaldo Pomodoro

La scultura esiste ancora nell'era dell'immateriale e del virtuale?
Il virtuale è uno dei temi più discussi di oggi e gli strumenti che si stanno sviluppando hanno potenzialità incredibili, che hanno già cambiato e cambieranno in futuro il nostro modo di relazionarci con la realtà. Ma, in generale su tutti gli ambiti di applicazione del virtuale, il piano tangibile non potrà mai essere completamente sostituito. La scultura, come oggetto fisico, come presenza materiale, contrapposta o in relazione al virtuale e all'immateriale esiste ancora e continuerà ad esistere. Istintivamente pensiamo alla scultura in contrapposizione con l'immateriale, perché la associamo, senza pensarci, a realtà tangibili come il legno, la pietra, il marmo, il bronzo… a qualcosa che c'è e che resterà. Ma la scultura non è solo questo, in realtà ha cominciato già da tempo a confrontarsi con il virtuale e il digitale, a uscire dalla sua zona di fisicità ed esplorare l'immaterialità.

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Aleksandra Domanović, «The Falseness of Holes», 2019. Stand-in visual material. Courtesy: Fondazione Arnaldo Pomodoro

Se la scultura esiste nell'immateriale quali sono le sue caratteristiche?
La scultura si confronta da secoli con dimensioni che non le attribuiremmo, per esempio con una temporalità effimera… ma questo ci porterebbe a divagare troppo. Sul tema dell'immateriale da almeno un secolo e mezzo la scultura esplora i confini del mondo fisico. Senza andare troppo indietro, basti pensare alle opere di Olafur Eliasson, che spesso sceglie di lavorare con la luce o con l'acqua, al limite tra materiale e immateriale, come nell'installazione «The Weather Project», realizzata nel 2003 per la Turbine Hall della Tate Modern di Londra. Prendiamo poi uno scultore come Christo, che ha una vocazione materiale così forte da lavorare con monumenti, ponti, edifici, isole e interi paesaggi… nel 2018 realizza uno dei suoi ultimi progetti, «The London Mastaba», un'installazione site specific galleggiante per il Serpentine Lake di Hyde Park a Londra, che nel 2020, con la sua autorizzazione, è stata trasformata in un'esperienza di realtà aumenta. Questo mi fa sorgere molte domande: il lavoro di Christo, che ha come orizzonte d'azione il paesaggio ma approva anche la versione digitale del suo lavoro, esiste solamente quando viene effettivamente e fisicamente realizzato? Forse nella progettazione che precede la realizzazione c'è già tutto… forse il lavoro di Christo è, in fondo, la visione prima ancora che la realizzazione tangibile di quella visione. Viene da domandarsi se la scultura, materiale per antonomasia, non possa piuttosto travalicare i limiti della fisicità.

La Fondazione per la quale lavoro si occupa di uno scultore, Arnaldo Pomodoro, che lavora principalmente con il bronzo…con oggetti che hanno una spiccata materialità! Ma con il Premio Arnaldo Pomodoro per la Scultura ci troviamo a esplorare anche quelli che sono i confini odierni della disciplina. Per la 5ª edizione, nel 2019, abbiamo premiato la scultrice Aleksandra Domanović (Novi Sad, 1981), che ha realizzato alla GAM di Milano un'installazione in realtà aumentata intitolata «The Falseness of Holes». I piani di riflessione sui confini tra materiale e immateriale erano molteplici: Domanović ha presentato un'opera sia fisica che digitale, incentrata proprio sul rapporto tra queste due dimensioni, e la componente fisica non era casuale, era una scultura di Medardo Rosso, uno dei primi scultori moderni a esplorare i confini dell'immateriale con il suo interesse per il rapporto tra corpi e luce. Le sue sculture di cera erano concepite come dispositivi per catturare la luce e spesso Rosso esponeva le fotografie delle sculture al posto delle sculture stesse… siamo a cavallo tra Otto e Novecento, e per quell'epoca un'operazione del genere era probabilmente già percepita come “scultura virtuale”! Il virtuale è una dimensione, uno strumento, e può esserlo anche per la scultura, così come tanti altri media: il materiale, la tecnica, la dimensione non dicono, di per se stessi, cosa sia scultura e cosa non lo sia.

Aleksandra Domanović, «The Falseness of Holes», 2019. Stand-in visual material. Courtesy: Fondazione Arnaldo Pomodoro

Che cosa è cambiato nell'arte scultorea tra il XX e il XXI secolo?
Le grandi rivoluzioni nella scultura e nell'arte in generale, sia tecniche che concettuali, sono già state fatte tutte. Succede tutto nel XX secolo: Duchamp inventa il ready-made e inizia a scardinare le regole, e da lì in poi è una corsa a rapidi scatti, ad abbattere tutti quelli che erano i confini materiali, tecnici e concettuali che qualificavano la scultura come tale, e questo succede nel giro di cinquant'anni. Tempo qualche generazione e si passa da una situazione in cui la scultura è un linguaggio altamente codificato, lentamente limato e modificato per secoli, a una situazione che offre una polifonia di linguaggi, di forme e di temi, che è quella odierna. Il XX secolo spalanca al XXI secolo un orizzonte del possibile. Tutto è possibile in scultura, e questo in un certo senso rende la scultura un terreno precario, spaventoso. Se fino all'Ottocento i limiti sono piuttosto chiari, tu sai cosa può essere considerato scultura e cosa no, oggi non ci sono più norme. Gli scultori oggi devono fare un lavoro molto più impegnativo per definire e costruire il loro linguaggio, le loro forme, il loro discorso. Lo stesso vale per il pubblico: anche chi guarda viene sfidato a un lavoro più impegnativo.

Di fronte a questa anarchia come è possibile orientarsi, cosa fa la differenza?
Oggi, in un panorama in cui tutto può essere arte, nel quale sembrano non esserci criteri, è molto complicato rispondere a questa domanda. Molto più di quanto non poteva esserlo centocinquant'anni fa. Per me, ciò che differenzia la scultura da altre realtà fisiche, dal mero oggetto, è la sua capacità di “perturbare”, di agire sullo spazio e sull'osservatore. La scultura, del resto, nasce come doppio dell'uomo e del divino: non è una presenza confortevole, pacifica. E il rischio della scultura, e dell'arte in generale oggi, con le sue infinite possibilità, è proprio questo: accontentarsi di creare oggetti piacevoli, che soddisfano il piacere dei sensi ma che non parlano di nulla. Per me è questo il sottile discrimine che mi permette di distinguere ciò che è arte, ciò che resterà.

E dai materiali quale lettura possiamo avere?
Se in passato il materiale definiva la scultura e certe sue applicazioni, come nel caso della cera, utilizzata soprattutto in ambito funerario o scientifico, oggi è possibile realizzare la scultura con qualsiasi materiale. Il superamento di queste norme antiche ci proietta in una situazioni di “anarchia”, di infinite possibilità, sfidante e destabilizzante sia per lo scultore che deve costruire il suo linguaggio, sia per il fruitore, che non ha più la guida sicura di un certo materiale o di una certa tecnica per individuare ciò che è scultura e ciò che non lo è.

Dal suo osservatorio di curatore di una Fondazione che ha istituito un Premio dedicato alla scultura, chi sono gli scultori contemporanei?
Mi sento di fare una riflessione sul tema di genere: la scultura, l'arte in generale, è forse uno dei settori culturali che sta superando più rapidamente il gender gap. Il Premio della Fondazione, nato nel 2006, ha avuto finora sei edizioni e, tra i vincitori, le scultrici hanno la maggioranza schiacciante.
Anche guardando alle Project Room, un altro progetto della Fondazione rivolto alle giovani generazioni di artisti, che portiamo avanti ormai da diversi anni, le artiste hanno una rappresentazione maggioritaria. Ma credo che in questo settore siamo già passati oltre: il genere non è un criterio di valutazione, di inclusione o di esclusione, del lavoro artistico di una persona. Quando gli ultimi venti, trent'anni, di produzione artistica saranno storicizzati penso che ci accorgeremo chiaramente di questo dato. Un altro aspetto che mi sembra importante è quello della provenienza geografica, etnica e culturale degli artisti. Il mondo culturale occidentale sta sempre più guardando alle altre aree del mondo, a quello che succede in Africa o in Asia per esempio, ma su questo c'è ancora tanto lavoro da fare, facciamo ancora fatica a immaginare un panorama globale della produzione culturale. Uno degli aspetti che ho trovato più interessanti del lavoro dell'artista premiata nell'ultima edizione del Premio, Candice Lin (Concord, MA, 1979), è proprio la sua capacità di muoversi tra ambiti culturali distanti, costruendo il suo lavoro proprio a partire da queste distanze, sui pregiudizi e sulle narrazioni che caratterizzano i rapporti tra diverse aree del mondo.

Dove studiano i giovani, quali sono le accademie?
In passato l'accademia o la scuola di provenienza contava molto sulle possibilità di affermazione di un artista, era una forma di pedigree. Oggi, grazie alla vastità di orizzonti del mondo dell'arte, questo aspetto è diventato superfluo. Non vuole dire che studiare all'accademia o studiare le tecniche sia inutile, anzi, le giovani generazioni sono profondamente interessate alle tecniche tradizionali, che costituiscono un bagaglio di possibilità e di conoscenza preziose. L'accademia può fornire una strada, ma non è l'unica. Arnaldo Pomodoro stesso non ha studiato all'accademia: ha appreso le tecniche dagli artigiani e, poi, le ha reinventate adattandole alla sua ricerca personale, e le sue guide in campo artistico sono stati gli altri artisti, uno su tutti Lucio Fontana. È tutto un altro percorso. Io personalmente apprezzo molto quando uno scultore o un artista in generale ha padronanza delle tecniche, ha passione per la materia, è qualcosa che si vede. Ma, come dicevamo prima, se non è il medium a fare la scultura, non è la tecnica a fare lo scultore, non è sufficiente.

Quale sarà l'evoluzione della scultura?
Di sicuro l'immateriale e il virtuale sono temi con i quali gli scultori dovranno sempre più confrontarsi, ma è solo uno dei temi, non è l'unica strada di indagine aperta. La sfida più importante che la scultura e l'arte hanno oggi non è tanto sul fronte tecnico o materiale, ma sul fronte del discorso. L'arte deve parlare, e deve parlare a noi oggi, di quello che sta succedendo. Se l'arte non affronta i temi che urgono oggi allora ha poco interesse, per me almeno. Diventa un passatempo, qualcosa di piacevole ma superfluo. Le domande che un artista si deve fare oggi, affacciandosi al mondo dell'arte, è “chi sono” e “di cosa voglio parlare”. Il come sarà una conseguenza.

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