La seconda vita dei castelli, un investimento fra lusso e business
Le valli piacentine sono costellate di costruzioni medioevali. Occasioni immobiliari, sia per viverci sia per aprire relais de charme e luxury guest house.
di Camilla Dacrema
7' di lettura
A cinquanta minuti da Milano, dove si apre la verde Emilia, le vallate piacentine tra l'Appennino e il Po sono costellate di centinaia di castelli medioevali. Pochissimi conservati perfettamente, alcuni residenze di charme dove soggiornare, altri dimenticati dalla storia in attesa che qualcuno si occupi di loro. Qui s'incontrano i testimoni di uno stile di vita che è una antica forma di ascolto e di rispetto per l'ambiente, le cose, le vicende umane. C'è chi li vive per genealogie illustri e chi arriva qui per raccogliere con passione la memoria dei dettagli, delle storie dei luoghi e delle persone che li hanno abitati. Tutti, però, sono accomunati da una ricerca che è lunga una vita e che ha sempre sullo sfondo un castello.
La torre cilindrica del Castello di Rivalta taglia il cielo sopra la pianura e la sua geometria magnetica si affaccia lungo le rive del Trebbia dai sassi chiari e le acque docili, che videro l'attraversata degli elefanti nella battaglia di Annibale contro i romani. Progettata da Pietro Antonio Solari dieci anni prima che l'architetto milanese disegnasse a Mosca le torri del Cremlino, è l'emblema del Castello di Rivalta di Gazzola, il più famoso e spettacolare dei castelli piacentini. Vive qui il conte Orazio Zanardi Landi, discendente di una delle più nobili famiglie italiane, “Svevo sanguine laeta” (lieta del matrimonio con sangue Svevo). Lo incontriamo nel suo salotto, davanti a lui lo stipo che piaceva alla principessa Margaret di Windsor, amica di famiglia che visitò il castello per la prima volta nel 1988 e se ne innamorò al punto da tornarvi ogni anno in villeggiatura estiva per tutta la vita.
«Ricordo con piacere l'invito informale da Buckingham Palace: io e mia moglie fummo alloggiati al Royal Lodge, all'epoca residenza della Regina Madre, e prendemmo un tè con la Regina Elisabetta, che per noi era semplicemente la sorella di Margaret. Non posso dimenticare l'accoglienza familiare che ci riservarono al Castello di Windsor: un giorno facemmo il bagno in piscina con la loro famiglia ed Elisabetta mi preparò con le sue mani una limonata, come quella che Margaret era solita prendere da noi a Rivalta. Poi ci guidò a visitare il castello e ci mostrò, tra le altre cose, i disegni originali del Guercino per la cupola del Duomo di Piacenza. In seguito, Carlo espresse il desiderio di visitare Rivalta, ma era ottobre e all'epoca le camere non erano riscaldate. Lui disse che era abituato al freddo di Balmoral, però dovemmo rimandare. Quando i nuovi impegni della successione al trono glielo permetteranno, saremo felici di accoglierlo».
Orazio oggi presiede l’Associazione Castelli del Ducato di Parma, Piacenza e Pontremoli, che riunisce i castelli visitabili (oltre 60): «A differenza della Loira, dove i castelli sono per lo più di proprietà pubblica, qui la maggior parte è di proprietà privata ed è difficile promuoverli in un percorso comune». Nonostante le difficoltà, anche grazie al suo impegno, i castelli piacentini sono un caso di scuola. Fu sua madre, Franca Zanardi Landi di Veano Ardissone, la prima a credere nel Castello di Rivalta e ad avviare nel secondo dopoguerra i lavori di ristrutturazione. Un'operazione visionaria proseguita da Orazio, che ha dato il via a una tendenza, quella del recupero dell'antico, che in queste vallate ha trovato terreno fertile.
In Val Luretta, lo sbocco sulla pianura è dominato dalla monumentale Rocca Anguissola Scotti di Agazzano, tra i più maestosi castelli piacentini, che si mostra nelle sue turrite forme medioevali, curiosamente affiancate dal Castello, una delicata villa di delizia costruita nel '700 a fianco dell'antico fortilizio. Il Castello e la Rocca non potrebbero essere più diversi e più perfettamente uniti, come i principi Francesco, Lodovico e Ferrante Gonzaga Del Vodice, i tre fratelli discendenti diretti della nobile dinastia mantovana, tra le più importanti della storia d'Italia. Ci accolgono nel salone decorato con meravigliose vedute panoramiche e accettano con simpatia le indicazioni della nostra fotografa per scattare «la prima foto che ci ritrae tutti e tre insieme, da quando siamo bambini». Lodovico e Ferrante gestiscono le aziende di famiglia mentre Francesco, amante dei cavalli, avvicina all'equitazione i bambini con diverse abilità e si dedica ad Agazzano, dove ha scelto di vivere. Il bisnonno, Maurizio Ferrante Gonzaga, fu pluridecorato al valore militare mentre il nonno, Ferrante Vincenzo, fu ucciso l'8 settembre 1943 rifiutando di arrendersi ai tedeschi al grido “un Gonzaga non s'arrende mai”.
Camminiamo nella Rocca e arriviamo al salone d'onore, cui segue una galleria con alcuni giganteschi capitelli romani meravigliosamente scolpiti. «Mio padre ipotizzava che questo potesse provenire dal sacco di Roma», spiega Francesco, «condotto da Ferrante Gonzaga nel 1527». I giardini alla francese con statue e fontane si aprono a perdita d'occhio sulla campagna, dove il sole sparge un tepore autunnale e una luce chiara getta riflessi rosa sulle colonne dell'elegante loggiato rinascimentale, con un doppio scalone che si affaccia sulla corte. Un panorama che piacque tanto ad Aloisia Gonzaga, che fece realizzare il loggiato alla fine del Quattrocento, e a Eleonora Rangoni, la moglie di Gaspare Scotti dai lunghi capelli biondi, che nel Seicento amava venire qui a passeggiare, leggere e dipingere. Dicono che il suo fantasma si aggiri ancora per il castello, insieme a quello di Pier Maria Scotti detto Il Buso, ucciso nel 1529 da Astorre Visconti in una locanda di Agazzano e gettato nel fossato della Rocca.
Altra vallata, altre storie: in Val Tidone, la milanese Caterina Benello ha fatto del Castello di Tassara la sua scelta di vita, trasformando la vecchia fortezza in una luxury guest house dal sapore intimista. «Non avrei mai immaginato di fare del castello il mio mestiere: sono medico e con la mia famiglia l'abbiamo acquistato pensando di abitarci». L'idea di ospitalità di Caterina Benello si nutre di una ispirazione sottile e profonda per la cultura dell'Oriente buddhista, un filo rosso elegante e mai gridato, come gli arredi del suo ufficio e della sua camera, quasi contigua a quelle degli ospiti e similmente arredata, ma con cascate di mala tibetani ad arricchire la sobria testiera del letto. Nei salotti dominano i colori vivaci, come nei vestiti di Caterina: carminio, senape, vinaccia e gli oggetti, raccolti nei viaggi di una vita in giro per il mondo, si affacciano composti davanti ai quadri che raffigurano scene di vita nell'Ucraina del Novecento. «Quello dell'ospitalità è un mestiere impegnativo, nato un po' per caso e in cui sono cresciuta con il tempo, che mi dà una grande soddisfazione. Il castello, un antico presidio dei Malvicini Fontana, in origine era in pessime condizioni e non c'era traccia degli arredi originari. Fin dall'inizio abbiamo scelto una ristrutturazione sostenibile. Tutti i mobili delle camere sono fatti su misura da un falegname locale, riutilizzando i legni che abbiamo trovato già nel castello. Perché tagliare nuovi alberi quando c'erano molti legni, altrimenti inutilizzabili e che appartenevano già alla storia di questo luogo?». C'è un'armonia nell'aria, un rispetto delle cose, a cui anche il gatto bianco e nero che passa furtivo sul tappeto partecipa a suo modo. «Tassara da tassa: probabilmente lo scopo del castello era di garantire il pagamento delle gabelle, i pedaggi per passare da una vallata all'altra», sulla strada dove il castello si affaccia e che collega l'Emilia con la Lombardia.
Lungo lo stesso crinale, placidamente seduto in cima a una collina a dominio di due vallate, c'è il Castello di Luzzano. Anche qui una scelta di vita, quella di Giovannella Fugazza, e una storia d'amore lunga 35 anni con la malvasia, che oggi vinifica per la Vigna di Leonardo a Milano. «Luzzano è un castello che la mia famiglia acquistò dai conti di Belgioioso. La famiglia di mio padre aveva una mentalità all'avanguardia. Lui studiò a Ginevra in collegio, si trasferì giovanissimo a Vienna alla corte dell'imperatore d'Austria e fu amico personale di Francesco Giuseppe. Una vita straordinaria, della quale non si vantò mai. Tra i must della Vienna di allora, anche lui si fece psicoanalizzare da Freud, che gli disse “Tu manchi a te stesso!”. Quando papà ce lo raccontava, ho sempre pensato che Freud se la fosse cavata bene con lui». Il pomeriggio di ottobre volge alla fine e dalla finestra entra un fascio di luce che illumina lo scalone di legno e fa brillare i nostri bicchieri del paglierino intenso di una bottiglia di Ficcanaso, la malvasia del castello dall'etichetta blu. «Compreso che la vocazione di questo posto era produrre vino d'eccellenza, negli anni Trenta nostro padre e nostro zio chiamarono Portaluppi a progettare la prima cantina. Sono del Portaluppi anche lo scalone dell'abitazione e le porte con i vetri colorati a piombo».
La scelta di Giovannella di lasciare la carriera di avvocato a Milano fu condivisa con la sorella Maria Giulia, a una condizione: «Se dobbiamo lasciare la vita di città, allora vogliamo i nostri nomi sulle etichette». E così fu, portandole alla guida della tenuta di 75 ettari con due cantine, una in Emilia e una in Lombardia, a cavallo di un confine che risale a quello tra longobardi e bizantini. L'amore per l'arte a Luzzano è un tutt'uno con lo spirito di comunità che si respira nell'aria. Sarà per questo che Gina, dolcissima setter inglese, mi appoggia la zampa sulle gambe in cerca di qualche aperitivo, mentre Giovannella accoglie degli amici alloggiati in foresteria che cercano una bottiglia di vino fresco, come tra vicini. «Conosco la malvasia come una stanza della mia casa: una stanza non è una stanza, se non l'hai vissuta da tanti anni. Le mie sono piene di disordine, ma io so che hanno un'identità che viene dalla loro storia come da chi ci ha dormito. La malvasia è come Luzzano: è bella così com'è. Negli altri vini il profumo devi crearlo, qui c'è già e non glielo puoi togliere. I cambiamenti li fa chi non ha una storia e deve acconciarsi per piacere. Oggi nelle grandi città i palazzi storici sono sventrati da ristrutturazioni che li omologano tutti. Io resto dell'idea che nei luoghi storici devi assimilare il modo di vivere delle persone che ci hanno vissuto».
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