La serie di The Last of Us è il migliore adattamento di un videogioco
La serie su Sky ti accompagna nel viaggio di Joel e Ellie con naturalezza, senza volere per forza essere didascalico e senza l’urgenza di volere a tutti i costi piacere al pubblico di genere
di Luca Tremolada
2' di lettura
Non ci voleva molto, viene da chiosare. Gli adattamenti televisivi dei videogiochi sono stati quasi sempre un disastro. Da Lara Croft fino a Mortal Kombat, le eccezioni sono pochissime forse si salva solo il recentissimo Cyberpunk: Edgerunners. The Last of Us la serie tv tratta dall’ononima serie di videoludica ha il merito di avere infranto un muro invisibile che durava da almeno vent’anni. La prima puntata che è andata i in onda il 16 gennaio su Sky e Now ti portà là dentro, dentro una apocalisse, feroce e violento nato nel 2013 in un videogioco per Playstation.
La storia di The Last Of Us si svolge vent'anni dopo la distruzione della civiltà moderna. Joel, uno scaltro sopravvissuto, viene incaricato di far uscire Ellie, una ragazza di 14 anni, da una zona di quarantena sotto stretta sorveglianza. Un compito all'apparenza facile che si trasforma presto in un viaggio brutale e straziante, poiché i due si troveranno a dover attraversare gli Stati Uniti insieme e a dipendere l'uno dall'altra per sopravvivere.
La serie ti accompagna nel viaggio di Joel e Ellie con naturalezza, senza volere per forza essere didascalico, senza inseguire i gusti dei videogiocatori e senza l’urgenza di volere a tutti i costi piacere al pubblico di genere, quello degli amanti dei film di zombie. Gli interpreti sono bravi e non si discutono: Pedro Pascal (Game of Thrones e The Mandalorian) sembra nato per impersonare Joel. L'astro nascente britannico Bella Ramsey che in Italia è conosciuta per avere interpretata Lyanna Mormont in “Game of Thrones” pare una scelta particolarmente azzeccata nonostante non assomigli all’attrice Ashley Johnso che nel videogioco è Ellie. Tuttavia, il merito non è loro. E neanche del videogioco.
È vero che The Last of Us è stato definito dalla critica un ’”Apocalypse Now” videoludico, una pietra miliare della storia di questa industria per maturità dei contenuti, tecnica e trama. Ma non è il soggetto narrativo più originale del mondo. Quello che rende questa serie forse la migliore trasposizione videoludica di sempre è la scrittura. La serie non è una cut-scene allargata, non è un film di zombie d’autore e neppure uno di quei prodotti che nascono per parlare ai fan più accaniti. Fa bene quello che dovrebbe fare una serie: raccontare il contesto, approfondire la psicologia dei personaggi, allargare lo sguardo dello spettatore su aspetti che il videogioco non ha potuto approfondire. Il merito va probabilmente ha un nome e un cognome: Quello del direttore creativo del gioco Neil Druckmann e dellolo showrunner di Chernobyl Craig Mazin. Uno viene dal mondo del videogioco e uno da quello della televisione. Insieme, finalmente, hanno cambiato qualcosa nel modo di produrre contenuti.
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