CommentoPromuove idee e trae conclusioni basate sull'interpretazione di fatti e dati da parte dell'autore.Scopri di piùbig data

La sfida di adattare il diritto alla realtà tecnologica

Nell’era di internet temi quali la trasparenza, l’alienabilità e la portabilità dei dati, la lotta alla disinformazione online e alle espressioni di odio costituiscono sfide assai difficili. Le riassume un libro su come i big data stanno cambiando il nostro mondo

di Carlo Melzi d'Eril e Giulio Enea Vigevani

(© CHROMORANGE / Ohde)

3' di lettura

A metà degli anni ’90 tra i moltissimi personaggi di “Mai dire gol”, geniale trasmissione sul calcio (e non solo), c’era il “nonno multimediale”, interpretato da Francesco Paolantoni. Nel pieno della “bolla digitale” di quel periodo, uno dei tormentoni del personaggio in questione era: «capisci di Internèt [rigorosamente con accento sulla seconda e]? No…? e allora che parli a fa’…?».

Ecco: la pubblicistica sulla rete è ricca di studiosi raffinati ma incapaci di accendere un computer o di scienziati con avanzate competenze informatiche, che tuttavia usano un linguaggio da iniziati, incomprensibile ai più. A volte, invece, ci si imbatte in volumetti, agili e utilissimi, come questo di Marco Delmastro e Antonio Nicita, «Big Data. Come stanno cambiando il nostro mondo», per il Mulino.

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Un dato emerge fin dalle prima pagine: gli autori conoscono non solo le regole dell’ordinamento ma anche le regole tecniche del mondo digitale e si sono “sporcati le mani” con i problemi che in quel mondo sorgono quotidianamente, essendo stati uno direttore del servizio economico statistico dell’Agcom e l’altro commissario dal 2004 al 2019, oltre ad insegnare politica economica alla Sapienza.

Gli autori non corrono il rischio di restare affascinati e timorosi davanti all’ignoto, come l’Ulisse di Dante, davanti a «quella foce stretta». Preferiscono l’ottimismo razionale di Papa Francesco, che nel 2014, nel messaggio per la giornata mondiale delle comunicazioni, scriveva che «internet può offrire maggiori possibilità di incontro e di solidarietà tra tutti» piuttosto che la visione senza speranze di Umberto Eco, secondo cui i social media «danno diritto di parola a legioni di imbecilli».

Nel libro si sottolinea - e oggi non sempre è “di moda” - un concetto che vale la pena di avere bene in mente: internet ha consentito di esportare il free speech in tutto il mondo o, con le parole della nostra Carta, ha reso effettivo il diritto di tutti di manifestare il proprio pensiero.

Non ci troviamo tuttavia di fronte a una riedizione 3.0 del Candido di Voltaire. Proprio la profonda conoscenza del sistema e delle sue evoluzioni consente ai due studiosi di mostrare i rischi e i dilemmi della “data society”: concentrazioni di potere, manipolazioni, tendenze alla creazione di universi paralleli chiusi e spinte all’estremismo, verbale e politico. Ma anche, e questa è una della parti più preziose del libro, consente di smontare con informazioni precise e documentate alcuni luoghi comuni: ad esempio, non è senza significato sapere che, nonostante la crescente penetrazione del web, la televisione resti l’unico mezzo capace di raggiungere l’intera popolazione e dunque decisivo nella formazione del consenso, in particolare politico.

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Anche rispetto alle ultime frontiere, gli algoritmi e i big data, Delmastro e Nicita offrono una lettura preoccupata ma non pregiudizialmente allarmata. E provano a recuperare alcuni dei pilastri su cui si è fondato il diritto dell’informazione negli ultimi decenni, in primis il pluralismo informativo, per imporre anche a chi governa le piattaforme digitali globali di far navigare i «fragili vascelli» della conoscenza anche sui social media, che rischiano di essere composti da tante isole, altrimenti chiuse alla pluralità delle idee.

Da queste riflessioni, gli autori non temono di individuare nuovi compiti per un regolatore, sinora in sostanza passivo spettatore di un mutamento avvenuto sopra la sua testa. Ovviamente ai pubblici poteri non sono attribuite funzioni taumaturgiche, ma al contempo viene apertamente invocata la necessità di un intervento normativo che sappia adattare i principi del diritto alla realtà tecnologica. Temi quali la trasparenza, l’alienabilità e la portabilità dei dati, la lotta alla disinformazione online e alle espressioni di odio costituiscono sfide assai difficili, per le quali si raccomandano insieme prudenza e coraggio. Prudenza per il rischio di interventi paternalistici se non censori, coraggio nell’individuare strade nuove, perché le promesse e le straordinarie opportunità del mondo digitale possono essere realizzate solo se si trova la via per garantire un ecosistema insieme plurale e dialogante.

Insomma, alla lettura di queste pagine ci sembra di poter trarre un messaggio: il mondo di domani non è necessariamente peggiore di quello di ieri. Ed è un messaggio che ci piace.

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