Buona idea

La sfida dell'esploratrice Gina Moseley per indagare il climate change

Una spedizione che è una prima mondiale: entrare nella grotta più remota della Groenlandia per anticipare il cambiamento climatico del nostro Pianeta.

di Alexis Paparo

Un microbiologo della spedizione attraversa un passaggio molto stretto in una grotta con la volta ricoperta di brina cristallizzata. Tutte le immagini sono di Robbie Shone.

4' di lettura

Non sarà facile dimenticare l'aplomb con cui l'esploratrice polare, speleologa e studiosa del clima britannica Gina Moseley mi ha detto in videocall: «La bolla di calore in Canada? Le inondazioni in Europa? È presto per dire con certezza che siano causati dal cambiamento climatico, ma è esattamente quello che ci aspettiamo possa causare. Non sono sorpresa». Non c'era freddezza nelle sue parole, o mancanza di empatia (come potrebbe?), piuttosto l'occhio clinico di uno scienziato che raccoglie dati, li analizza, li interpreta mentre convergono verso la risposta più plausibile. Se è vero che la Terra si sta surriscaldando, «siamo appena agli inizi della fase di trasformazione. Uragani, incendi appartengono ancora all'area del “meteo”, per definirli parte del “clima” serve uno storico di svariati decenni».

Un’immagine dell’accampamento.

Eppure Moseley, che esplora le grotte più remote dell'Artico a caccia di indizi sul cambiamento climatico, sa verso cosa la Terra si sta dirigendo, perché è già successo. «Negli ultimi due milioni e mezzo di anni – il periodo geologico più recente – il Pianeta ha attraversato un modello ciclico di circa 15 ere glaciali e periodi più caldi. Nelle varie fasi, la concentrazione di anidride carbonica nell'atmosfera è sempre stata fra le 119 e le 219 parti su un milione. In questo momento ci attestiamo a 415 parti per milione e siamo completamente fuori scala. Come specie non abbiamo mai vissuto in un mondo con un'atmosfera di questa composizione. L'ultima volta che la Terra ne ha avuto una simile è stato circa tre milioni di anni fa, in un'era geologica completamente diversa. Tre milioni di anni fa c'era del ghiaccio in Antartide ma l'Artico era coperto di foreste, c'erano gli ippopotami a Londra e il livello del mare era probabilmente più alto di 20 metri rispetto a quello odierno. Era tutto estremamente più caldo e bagnato».

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La scienziata del clima Gina Moseley mentre raccoglie e cataloga i campioni raccolti.

Le sue parole mi riportano alle atmosfere del libro Il mondo sommerso di J. G. Ballard, in cui il protagonista – anche lui scienziato – fa parte di una missione di ricerca e vive agli ultimi piani di un Ritz semisommerso in quella che una volta era Londra e ora è una laguna abitata da piante e animali tropicali. L'umanità è migrata verso le regioni polari (ormai una zona subtropicale) e ciò che sta sotto è tornato al Pleistocene. Non inabitabile di per sé, solo da noi. Nel libro di Ballard (sembra scritto ieri ma è del 1961) il surriscaldamento globale era stato causato da tempeste solari, ma l'effetto non cambia: «Lo scioglimento dell'Artico rende più caldi gli oceani che di conseguenza trasportano calore, con un impatto sui sistemi metereologici di tutto il mondo», spiega la speleologa.

“Il mondo sommerso” di J.G. Ballard, Feltrinelli (9€).

«Oggi la nostra atmosfera è equivalente a tre milioni di anni fa – e cito la collega Maureen Raymo – “ma il resto del mondo sta giocando a rincorrerla”. Il cambiamento non è graduale e questo è il problema».
Nel suo lavoro, Moseley si muove come un investigatore e l'Artico – che si sta riscaldando al doppio della media globale – è il suo terreno di studio. Tutto parte dalle gocce d'acqua che, in migliaia di anni, vanno a comporre stalattiti e stalagmiti all'interno delle grotte. I depositi minerali di calcite dentro l'acqua contengono una sorta di memoria chimica delle condizioni climatiche nel momento in cui questa è filtrata nel terreno, una “firma” che Moseley sa leggere e usare per ricostruire il clima di quell'area dell'Artico in un mondo più caldo di quello di oggi.

Un ritratto di Gina Moseley, fra i cinque vincitori dei Rolex Awards for Enterprise 2021. Il premio le permetterà di esplorare per la prima volta una remota caverna nella Terra di Wulff, nell'estremo nord della Groenlandia, per studiare il cambiamento climatico.

L'esploratrice ha già all'attivo tre spedizioni in Groenlandia (nel 2015, 2018 e 2019), ma la prossima, che le verrà finanziata perché vincitrice del premio Rolex Awards for Enterprise 2021, è la più importante, e una prima mondiale. Il progetto è andare alla scoperta di una gigantesca grotta sulla cima di una scogliera nella Terra di Wulff. Una cavità mai esplorata, ma così grande da essere stata individuata e considerata come luogo di atterraggio di emergenza degli aerei da ricognizione statunitensi durante la Guerra Fredda. Moseley ne viene a conoscenza nel 2008, ma organizzare una spedizione è troppo costoso e rischioso. Nel 2013 il sogno di riuscirci si riaccende e le tre spedizioni del 2015, 2018 e 2019 aggiungono esperienza e sicurezza. Poi il momento arriva. «Il premio Rolex è una delle poche opportunità che ho – che noi scienziati abbiamo – per finanziare progetti con una forte connotazione scientifica, aperti all'esplorazione e alle nuove idee. Non sappiamo ancora cosa troveremo, ma è un'opportunità per scoprire qualcosa di straordinario».

Due membri della spedizione si approssimano ad esplorare la Kates Cave, appena superato il laghetto ghiacciato che ne caratterizza l’entrata.

Se la grotta dovesse rivelare la presenza di calcite, si potrebbe potenzialmente disporre di dati climatici della regione quattro volte più antichi rispetto a quelli finora presi in considerazione, tornando indietro anche di 500/600mila anni. Confrontando i dati delle grotte della Groenlandia con altre registrazioni climatiche e con i livelli del mare, Moseley spera di mettere a punto un quadro globale del Pianeta durante un'era più calda. Aprire una finestra sul futuro per permetterci di disegnarne uno migliore.

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