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La sfida della sostenibilità si vince a partire dalla creazione di valore

di Claudio Scardovi*

(joyfotoliakid - stock.adobe.com)

3' di lettura

La sfida per la sostenibilità è esistenziale, specie per la componente legata al rischio ambientale. Ma appare oggi come una guerra che, a giudicare dalle continue sconfitte in battaglia (cambiamento climatico oltre i target, inquinamento dannoso per la salute, erosione delle terre agricole e falde acquifere, scomparsa o riduzione di specie animali ecc.) stiamo invece drammaticamente perdendo. Dobbiamo dunque chiederci per quali motivi e come sia possibile reindirizzarne le sorti – per evitare di oltrepassare il punto di non ritorno, fatale per lo sviluppo dell'umanità e delle future generazioni. Non siamo infatti tutti d'accordo sul merito della sfida e sulla bontà degli obiettivi collettivi da raggiungere?
Il problema a mio avviso sta infatti proprio nell'approccio di governance e sui metodi di intervento basati sul convincimento “buonista” (spesso general-generico) dell'importanza di fare qualcosa. “Homo homini lupus”, sostiene Locke, ricordandoci come sia bello avere fiducia nella bontà ed onesta degli altri, ma sia più utile e saggio non farlo. La sfida alla sostenibilità è invece oggi affrontata per silos (obiettivi ESG da una parte e di ROE dall'altra) che implicitamente ipotizzano proprio questa “speranza”.
Da una parte, gli indici ESG pretendono, in chiave prescrittiva (e molto spesso con applicazioni “tick the box”), di indicare la via verso la trasformazione sostenibile, contando sugli incentivi che dovrebbero essere trasmessi alle imprese (loro malgrado) dalle banche e dagli asset manager, e sulla moral suasion di qualche “green influencer” improvvisato. Ne derivano una serie di paradossi: dal “green-washing”; al “green-arbitrage” (dove i cattivi comprano a sconto dai presunti buoni gli “stranded asset” inquinanti, tenendoli, ben privati e nascosti, al riparo di banche ed asset manager, arricchendosi senza rischi nel durante); alla “carbon tax” (che i governi sono incapaci di applicare a livello globale) e “green subsidies” (che diventano oggetto di trading speculativo, comprati come licenza per inquinare di più).
Dall'altra, gli indicatori di profittabilità quali il ROE o lo IRR guidano ancora, de facto, le scelte di investitori, risparmiatori, lavoratori e consumatori (e non potrebbe essere altrimenti, salvo ipotizzare l'ambizione alla conversione verso la Santità dell'homo-lupus). Perché dovremmo risparmiare ed investire per ottenere rendimenti più bassi, rimettendoci noi a fronte di un bene comune che va a beneficio di tutti gli altri? E perché guadagnare di meno, o spendere di più, per gli stessi motivi? Molte rivoluzioni, basate sull'auspicio di un “homo novus”, orientato agli altri ed eticamente corretto sono fallite nella storia ed a fronte di sfide molto meno complesse (e ben meno rilevanti per la nostra stessa esistenza, oltre che essenzialità – se si aggiunge la dimensione sociale a quella ambientale).
La soluzione, e la grande sfida intellettuale e manageriale del prossimo decennio, risiede invece nel poter dimostrare e saper realizzare strategie di trasformazione sostenibili per le quali, proprio perché sostenibili da un punto di vista ambientale e sociale, le aziende creano maggiori profitti e valore economico per i propri azionisti, incentivando i risparmiatori a investirvi maggiormente e dando ai propri clienti un maggior valore aggiunto economico, a parità di qualità del prodotto o servizio offerto. Per l'industria dell'energy significa, ad esempio, poter offrire lo stesso output di potenza a costi minori, proprio perché le fonti sono rinnovabili e scalabili all'infinito. Per quella dell'agri-food, poter offrire rese per ettaro più elevate, proprio perché l'utilizzo delle risorse naturali è più limitato e in equilibrio con l'ecosistema. Per quello del real estate, poter offrire edifici, aree urbane e intere città più efficienti e maggiormente attrattive, proprio perché più circolari ed a supporto del benessere dei residenti.
Le soluzioni specifiche e le sfide concettuali e realizzative sono tutt'altro che scontate ed affatto certe nella modalità e nella tempistica. La continua innovazione tecnologica può rappresentare in molti campi l'elemento di break-through (incidendo sul modo); e l'intervento governativo (attraverso tasse, sussidi e vincoli a contorno) possono accelerarne la messa a regime (influendo sul tempo). Ma sta alla strategia competitiva delle aziende e degli individui, ed alla finanza come mezzo asservito a questa, identificarle e risolverle con successo: economico in primis, in quanto (e non “nonostante” risultino ambientalmente e socialmente sostenibili). Il riconoscimento della pluralità dei valori e della rilevanza della loro sostenibilità (“sustainable values creation”) non può infatti che andare di pari passo al riconoscimento della pluralità degli animi umani: con greggi di pecore e cani pastore e i molti, purtroppo inevitabili, lupi.

* Docente Strategic Finance Lab e Bank Transformation, SDA Bocconi

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