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La sfida vera del nostro tempo è formare insegnanti che insegnino a imparare

Alle difficoltà di apprendimento, non si risponde abbassando la soglia dell’impegno e delle sfide, come troppe volte è successo, né tanto meno emarginando ed espellendo chi non riesce a raggiungere gli standard minimi richiesti nelle singole prove

di Franco Amicucci

(Pierpaolo Scavuzzo / AGF)

5' di lettura

I processi educativi della scuola italiana e più in generale dei sistemi di apprendimento degli adulti, si stanno ponendo, seppur timidamente, la domanda su come adeguarsi alle sfide di una società in così rapida ed intensa evoluzione, nel pieno della quarta rivoluzione industriale caratterizzata dalle tecnologie digitali.

Un nuovo scenario che richiede alle persone e alle organizzazioni di apprendere continuamente, disapprendere modelli e categoria consolidate, per riapprendere in forme nuove e creative le competenze richieste al momento, che presto saranno sostituite da nuove competenze.

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Sono rivoluzionate tutte le categorie dell’apprendimento sulle quali si è fondata e formata la cultura delle generazioni del passato. Apprendere per tutto l’arco della vita è la nuova normalità, imparare a imparare, continuamente, per tutto l’arco della vita, è la competenza chiave, madre di tutte le competenze del nostro futuro.

Nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea del 4 giugno 2018, troviamo pubblicata la Raccomandazione del Consiglio relativa alle competenze chiave per l’apprendimento permanente e la definizione stessa del concetto di competenza, composta da tre dimensioni tra di loro integrate:

1 La conoscenza, che si compone di fatti e cifre, concetti, idee e teorie che sono già stabiliti e che forniscono le basi per comprendere un certo settore o argomento;

2 Le abilità, dove si intende sapere ed essere capaci di eseguire processi e applicare le conoscenze esistenti al fine di ottenere risultati;

3 Gli atteggiamenti, che descrivono la disposizione e la mentalità per agire o reagire a idee, persone o situazioni.

I modelli formativi tradizionali sono ancora sbilanciati sulla prima dimensione, quella della trasmissione dei saperi e della valutazione basata sulla dimostrazione di averli acquisiti.

I timidi tentativi fatti per far affacciare i giovani, prima della conclusione del percorso scolastico, nei contesti del lavoro, con i cosiddetti Ptco, Percorsi trasversali per le competenze e l’orientamento, finalizzati a creare consapevolezza delle abilità e degli atteggiamenti richiesti nella vita e nel lavoro, trovano ancora impreparate le scuole e le aziende, oltre che forti resistenze figlie delle ideologie del ’900.

L’abilità di imparare a imparare, indicata come competenza chiave dalla Raccomandazioni dell’Unione europea, ma presente in tutti i principali rapporti internazionali sulle competenze, come quelli del World Economic Forum, Ocse, Unesco non è ancora affermata, resa centrale, nei programmi di apprendimento. Nei modelli di competenza aziendali la competenza viene normalmente declinata nel concetto di learning agility, intesa come capacità della persona di adeguare le proprie competenze (conoscenze, abilità, atteggiamenti) ai nuovi contesti, imprevisti, sfide.

Per Carol Dweck, docente di psicologia presso la Stanford University, in un suo recente libro, tradotto in tutto il mondo e in Italia edito da FrancoAngeli, Mindset. Cambiare forma mentis per raggiungere il successo il lavoro più importante da fare è sugli atteggiamenti, prima ancora che sulle conoscenze e per questo è utile passare da forme di valutazione scolastiche basate prevalentemente sull’abilità dimostrata sulla singola prestazione, il singolo compito, la capacità di memorizzazione, alla creazione di contesti che allenino giovani e adulti alla scoperta e acquisizione del proprio processo di apprendimento, che servirà da base per tutti gli apprendimenti.

Dweck dimostra come la scuola tradizionale rischia di creare quella che definisce come «mentalità fissa», cioè la convinzione di essere un bambino o un adulto più o meno intelligente, più o meno di valore, di poter affrontare o evitare le sfide. Viene fissata la convinzione che l’intelligenza è una qualità innata, così come abilità come il coraggio, persone portate al successo o alla marginalità. I modelli di valutazione con i tradizionali voti, i test, non fanno che confermare e fissare queste convinzioni.

Dweck stimola i mondi educativi a sviluppare una forma mentis opposta, definita «mentalità dinamica», perché l’intelligenza di ogni persona può essere continuamente sviluppata, così come tutti gli aspetti caratteriali. Un atteggiamento che alimenta la passione di apprendere, sa accogliere le sfide, apprende dagli insuccessi, dalla prova andata male, dai successi degli altri, impara dalle critiche, accetta gli sforzi e si allena alla persistenza. Una visione coerente con la Raccomandazione dell’Unione europea del giugno 2018 dedicata alle 8 competenze chiave del futuro, dove, tra le molte indicazioni per la competenza Imparare ad imparare troviamo: «La capacità di imparare a imparare consiste nella capacità di riflettere su sé stessi, di gestire efficacemente il tempo e le informazioni, di lavorare con gli altri in maniera costruttiva, di mantenersi resilienti. Comprende la capacità di far fronte all’incertezza e alla complessità. Vi rientrano la capacità di individuare le proprie capacità, di concentrarsi, di gestire la complessità, di riflettere criticamente e di prendere decisioni. Le persone dovrebbero essere resilienti e capaci di gestire l’incertezza e lo stress. Tale competenza si basa su un atteggiamento positivo verso il proprio benessere personale, sociale e fisico, con un atteggiamento improntato a collaborazione, assertività e integrità, che comprende il rispetto della diversità degli altri e delle loro esigenze, e la disponibilità sia a superare i pregiudizi, sia a raggiungere compromessi. Le persone dovrebbero essere in grado di individuare e fissare obiettivi, di automotivarsi e di sviluppare resilienza e fiducia per perseguire e conseguire l’obiettivo di apprendere lungo tutto il corso della loro vita».

È un cambiamento che coinvolge prima di tutto gli insegnanti e formatori, che inizia con la consapevolezza che siamo all’interno di trend irreversibili, che i vecchi modelli non sono più adeguati, che sono necessarie nuove competenze, un nuovo bagaglio culturale e metodologico per creare ambienti e programmi di apprendimento adeguati alle sfide della società dell’apprendimento continuo.

È interessante il dibattito che si è aperto sulla parola «merito», per la nuova definizione del ministero dell’Istruzione e del Merito. La parola merito è per sua natura polisemica, con più significati attribuiti, spesso in contrasto tra di loro, frutto, frequentemente, del filtro ideologico dell’osservatore. Il Forum della Meritocrazia fornisce un preciso significato: uguaglianza delle opportunità, riconoscimento del talento, valorizzazione del merito, per un Paese equo. L’impatto di questa visione non permette semplificazioni o scorciatoie in ambito formativo, perché non ci può essere valorizzazione del merito senza creare le condizioni per la valorizzazione del potenziale di ogni persona.

Un cambiamento che può iniziare anche con piccole riforme, riforme a costo zero, ma potenti sul piano simbolico. Mi permetto di suggerirne una, solo apparentemente provocatoria.

È quella di cambiare il sistema di valutazione scolastica, dove più che valutare la singola prestazione si valuta il processo di apprendimento attivato. Una prova insufficiente, non sarà quindi valutata con un voto negativo, ma con un «non ancora 8», cioè per dare il segnale che, seppur la prova non è adeguata, l’identità del bambino, dell’adolescente, non è fissata nell’insufficienza, ma nel non aver ancora acquisito la modalità di esprimere una prova eccellente e che dovrà impegnarsi, accettare sfide, allenare le tante piccole e grandi abilità personali, quelle indicate nella Raccomandazione dell’Unione europea, che faranno di lui una persona che potrà valere più di 8. Finora, nel mondo, insegnanti straordinari riescono a gestire queste nuove modalità di insegnamento. I metodi di questi insegnanti possono diventare la normalità, per valorizzare il talento e riconoscere il merito di ognuno.

Alle difficoltà di apprendimento, non si risponde abbassando la soglia dell’impegno e delle sfide, come troppe volte è successo, né tanto meno emarginando ed espellendo, chi non riesce a raggiungere gli standard minimi richiesti nelle singole prove.

Saper valorizzare il merito degli insegnanti, formatori, educatori che sapranno trasferire la passione di apprendere, l’apprendere ad apprendere per tutto l’arco della vita, che sapranno motivare e coinvolgere giovani e adulti che partono, per motivi economici e sociali, con minor opportunità di partenza, è la sfida del nostro tempo.

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