La rivista

La sfida in verde per il futuro dell’Italia manifatturiera

di Livio Romano

(Sergio Oliverio)

2' di lettura

Il progresso economico a livello mondiale procede da decenni su una traiettoria non più sostenibile dal punto di vista ambientale. Lo scoppio della pandemia da Covid-19 ha solo temporaneamente interrotto la dinamica di crescita esponenziale dell’inquinamento atmosferico e terrestre e allentato la domanda di risorse naturali. Serve un cambio di passo radicale e non più procrastinabile nel modo di concepire la produzione e il consumo, che vede come protagonista la manifattura, chiamata a dare il suo contributo fondamentale sia in termini di offerta di soluzioni tecnologiche e di design a basso impatto ambientale, sia in termini di adozione di tecnologie e comportamenti rispettosi degli equilibri ambientali.

E tra i sistemi manifatturieri, quello italiano ha l’opportunità di giocare un ruolo di primo piano per la transizione ecologica. Sia perché il suo peso, come settima potenza industriale del pianeta, fa sì che le sue scelte d’investimento possano avere un effetto diretto positivo sull’ambiente, sia perché l’eccellente performance ambientale già oggi raggiunta ne fa un modello virtuoso che può essere seguito da

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altri Paesi. Ciò non può che avvenire come parte integrante di una strategia europea che sappia trasformare l’ambizione di riaffermare

il ruolo della Ue come leader globale nella protezione dell’ambiente (a partire dal contrasto ai cambiamenti climatici) in un’opportunità

di rinascimento industriale, e porre così le basi per uno sviluppo che sia sostenibile anche economicamente.

È una sfida tutt’altro che facile da affrontare, che richiede innanzitutto un accordo internazionale con le altre principali potenze economiche globali per definire insieme le regole del gioco e, poi, un differente approccio nel modo di concepire la cooperazione in ambito economico tra gli Stati membri della Ue, ovvero maggiormente orientata alla condivisione dei rischi (che in un processo di transizione verso un nuovo paradigma di sviluppo sono altissimi) e degli investimenti pubblici (che sono una componente fondamentale, insieme a quelli privati, per sostenere la transizione). Come ricordato in un precedente saggio su questa rivista, lo scoppio della pandemia ha permesso un’accelerazione inattesa in questa direzione, rendendo evidente anche a Bruxelles – e soprattutto a Berlino – la necessità

di una maggiore condivisione di risorse e di indirizzi politici per la gestione comune delle crisi, da quella sanitaria a quella ambientale.

Ma, anche se il 2020 si dimostrerà a posteriori come l’anno della svolta per la politica Ue, non possiamo dimenticarci dell’importanza

dei nostri “compiti a casa”, che non risparmiano neanche le imprese, senza i quali i prossimi anni di grandi trasformazioni (e opportunità) rischiano di diventare un’occasione persa per il Paese.

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