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La “sindrome dell’impostore”, che colpisce anche le persone di successo

Il rischio è quello di non percepire il valore reale che si apporta all’azienda, e per evitarlo occorre studiare (sempre) e imparare a conoscersi

di Giulio Xhaet* e Massimo Calì*

(monamis - Fotolia)

4' di lettura

Da anni in questa rubrica condividiamo riflessioni sulla gestione delle persone, su sentieri di innovazione, sul mercato del lavoro, sullo sviluppo di capacità professionali. Argomenti che trattiamo facendo consulenza e formazione, con eventi e corsi progettati per manager spesso con decenni di esperienza nel loro settore. Un lavoro appagante e impegnativo: abbiamo a che fare con persone che ci osservano e giudicano costantemente, e siamo costantemente sotto feedback. E spesso sappiamo, mentre ci ascoltano, cosa borbottano nel retrocranio il manager che gestisce progetti, il dirigente che guida aziende, l’imprenditore che sviluppa business: “Ma cosa può davvero insegnarmi una persona che passa la vita a dire agli altri cosa fare e come farlo?”.

Come nella celebre massima dell'umorista e scrittore Arthur Bloch, ricordate? “: Chi sa fare fa, chi non sa fare insegna.” Potremmo anche divertirci a sviluppare obiezioni più specifiche:“Hai mai guidato una business unit di 200 persone in Italia e all’estero? No? E allora che ne sai, perché me ne parli? Hai mai dovuto amministrare la fusione di due aziende, ciascuna con migliaia di persone? Hai mai lavorato qui dentro?”.

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A quel punto vediamo noi stessi come se fossimo il famigerato consulente di trading che ci promette laute ricchezze, a patto di seguire i suoi preziosi consigli (ma se gli chiedi “e tu quanto sei ricco?” tipicamente non lo è affatto). Oppure il guru che spiega come diventare celebri influencer online: “E tu quanti follower hai?” Probabilmente, pochi. O tanti, ma fake, racimolati con mezzi farlocchi.

Si chiama “sindrome dell'impostore” la condizione in cui temi nel profondo di essere un mentitore, di non essere all’altezza del tuo ruolo, di non portare vero valore. In cui ogni traguardo (un pubblico entusiasta) è in fondo una botta di fortuna. E un fallimento (feedback scarso) la conferma che… “non dovrei essere qui”. Ed è una tra le condizioni più diffuse e sottostimate. Diverse ricerche confermano che quasi tutte le persone, anche quelle di grande successo, hanno attraversato periodi sentendosi ciarlatani, almeno un po’. Se così non vi sembra, è perché chi teme di essere impostore non ne parla, fingendo di essere sicuro di sé. Insomma, siamo tutti un po’ impostori sulla sindrome dell’impostore.

Ma torniamo a noi. È davvero utile parlarne solo per una questione statistica, essendo condizione diffusa e sottostimata? È un tema che riguarda solo consulenti di trading millantatori, wannabe influencer e formatori tormentati?

Niente affatto. In azienda (e fuori) siamo in tanti potenziali destinatari di questa obiezione; e il problema non è che ce la facciano gli altri, ma che finiamo per crederci noi per primi. Facendola così diventare una profezia che si autoavvera: se non credo io per primo nel valore che porto, avrò un bel dannarmi nel mio nuovo ruolo (non l’ho mai fatto prima, come posso pensare di riuscirci meglio di chi c’era prima di me) oppure se nel team in cui non sono il più bravo in ciascuno dei mestieri che fanno i miei, o se quando parlo con il mio capo (al netto di geni incompresi, se il capo è lui, posso davvero saperne di più?) non sarò vittima dell’effetto Dunning Kruger: men+o so, più credo di sapere?.

Vediamo allora qualche antidoto naturale per combattere la sindrome dell’impostore, sotto forma di lista semiseria:
1) Un classico, che resiste perché è buono: allenare e giocare sono la stessa cosa? Molti straordinari allenatori sono stati campioni, ma almeno altrettanti a giocare erano scarsi. Servono competenze e abilità diverse.

2) Da osservatori vediamo le cose da punti di vista differenti. Anche solo per una questione emotiva. Vale persino per gli eventi storici: senza il giusto distacco - anche temporale - si fatica ad interpretarli.

3) Non solo “pancia” ma anche “testa”: il distacco aiuta a diluire alcuni bias. Sono famosi gli esperimenti Selective attention test (semmai cercateli sul web): uno dei più vecchi e celebri vede due team che si passano una palla da basket ciascuno. Se conti i passaggi in uno dei team, è probabile che non vedi passare il gorilla. Che non è un vero gorilla, è un uomo in costume, ma non te ne accorgi perché stai guardando altro. Se te ne accorgi, molto probabilmente perdi il conto dei passaggi. Morale della favola: se sono troppo concentrato su qualcosa (i risultati, il mio successo personale) quali sono i “gorilla” del mio business che non vedo passare? Uno sguardo esterno ti aiuta di certo.

4) Se sono sempre in campo, quando mi alleno? “Studiare e fare” restano due cose diverse, ma alzi la mano chi di noi, facendo un mestiere in cui l’aggiornamento profondo non sembrava una questione di vita o di morte, non ha saltato qualche impegno formativo (e questo è un tema arcinoto a consulenti e formatori: le assenze ai corsi per “esigenze di business”).

5) Lo sanno bene gli pneumologi che fumano, i dietologi sovrappeso, i parrucchieri spettinati e i carrozzieri con l’auto arrugginita: fate quello che dico, non quello che faccio. Perché competenze e volontà personale non vanno per forza sempre nella stessa direzione.

6) Per concludere, la metafora definitiva: qualcuno di voi, allevatore di cavalli, avendo tra le mani un destriero eccezionale e imbattibile in corsa, visto quanto è bravo lo metterebbe a fare il fantino? Appunto. Analogamente, anche il più purosangue dei manager (senza offesa per il paragone equino) non per forza è in grado di portare altri cavalli alla vittoria.

E se nonostante tutto, la sindrome dell’impostore ci prende lo stesso? Ci siamo messi in due proprio per due diversi consigli pratici: se siete portati ad essere più superficiali (termine che qualcuno vi rivolge in senso dispregiativo, ma in realtà semplicemente riuscite a vedere molto, molto lontano, perché sapete guardare in superficie senza farvi distrarre dai dettagli), quando vi capita provate ad andare in profondità e fate come me (Giulio) che mi metto a studiare “abbestia”.

Se invece siete più pignoli (termine che qualcuno vi rivolge in senso dispregiativo, ma in realtà semplicemente amate in ogni situazione essere molto precisi), quando vi capita, siate prima sicuri che non stiate andando in ansia esagerando coi dettagli. Se siete davvero, davvero sicuri che non è così, allora fate come me (Massimo) che mi metto a studiare “abbestia”..

Insomma: imparate a conoscervi e “compensate” i possibili eccessi delle vostre preferenze comportamentali. E poi preparatevi (che male non fa!)

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