ServizioContenuto basato su fatti, osservati e verificati dal reporter in modo diretto o riportati da fonti verificate e attendibili.Scopri di piùIntervista a Stephanie Kelton

«La situazione è delicata, servirebbe una politica monetaria selettiva»

La posizione controcorrente di Stephanie Kelton e autrice de «Il mito del deficit»

di Morya Longo

(The Yomiuri Shimbun via AFP)

3' di lettura

«Le banche centrali dovrebbero avere un po’ più di umiltà. Dovrebbero riconoscere che lo strumento dei tassi non è quello giusto per combattere l’inflazione, soprattutto quando è causata da prezzi energetici elevati. Serve piuttosto un ventaglio di strumenti strategici, in grado di combattere l’inflazione nel medio termine evitando però il dolore di una recessione e il rischio di una crisi fiscale. Quando vedo i tassi dei BTp che salgono al 4%, cioè i titoli di Stato di un Paese con un debito enorme come l’Italia, mi domando se la Bce si renda conto del pericolo che questa situazione comporta». Stephanie Kelton, docente di economia e di politiche pubbliche alla Stiny Brook University, membro del Consiglio dell’Organizzazione mondiale della sanità sull’economia della salute per tutti, ex capo economista della Commissione bilancio del Senato degli Stati Uniti e tra le 100 donne più influenti in ambito finanziario per Barron’s, è abituata ad esprimere posizioni controcorrente. Come ha fatto nel suo libro «Il mito del deficit» che si riconduce alla Teoria monetaria moderna. Incontrata al Forum Ambrosetti di Cernobbio, Kelton ha avuto l’occasione per argomentare le sue posizioni. Guardando proprio all’Italia.

La Bce non dovrebbe alzare i tassi di fronte a un’inflazione così elevata? Che altro dovrebbe fare?

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Il problema è che gli spread dei titoli di Stato di Italia, Spagna e dei Paesi periferici stanno salendo: questo rischia di spingere questi Stati verso una situazione fiscale insostenibile, costringendoli poi a rigorose politiche di bilancio per ridurre la spesa pubblica che alla fine peggiorerebbero lo stato dell’economia. Serve invece tutt’altro: un mix di politiche fiscali e monetarie meglio calibrate.

Cioè?

Innanzitutto serve una politica fiscale che punti sugli investimenti, più che sul controllo dei deficit. Investimenti strategici in settori chiave come la scuola, la sanità o l’energia.

Su questo siamo tutti d’accordo. Ma dire che questo possa contribuire ad abbassare l’inflazione è un po' ardito...

Nel medio termine sì. Se le politiche fiscali sono ben calibrate, possono farlo. Faccio qualche esempio. Una politica energetica, che parta dal price cap e vada a veri e propri investimenti nelle rinnovabili, nel medio termine può abbassare il costo dell’energia e dunque l’inflazione. Ma lo Stato può usare soldi pubblici anche per abbassare i prezzi degli affitti o per calmare il mercato immobiliare, oppure per investire in educazione e sanità. Quello che voglio dire è che gli investimenti pubblici non sono sinonimo di maggiore inflazione, ma se fatti bene possono anzi abbassarla nel medio termine senza causare una crisi. Negli Stati Uniti, per fare un altro esempio, c’è una situazione di piena occupazione con i salari che salgono e creano inflazione. In quel caso una politica che aiuti a far rientrare nel mercato del lavoro chi è fuori da anni creerebbe più concorrenza tra lavoratori, contribuendo a tenere più bassi i salari. Ovviamente ogni economia è diversa, ma il principio vale per tutti gli Stati: un mix ben calibrato di politiche fiscali può combattere l’inflazione meglio della tradizionale politica monetaria restrittiva.

Ma la politica monetaria è più immediata.

Ma il rischio è che alzando i tassi si crei una crisi dei debiti. In Europa il pericolo è concreto. L’obiettivo della politica monetaria deve essere quello di evitare le crisi, non di causarle. Nei Paesi dove c’è una banca centrale per uno Stato è più facile, mentre in Europa dove c’è una banca centrale per tanti Paesi è più difficile. Per questo la Bce deve stare bene attenta a evitare che salgano gli spread.

Proprio per questo la Bce ha varato due strumenti, cioè i reinvestimenti flessibili e il Tpi, per evitare che gli spread salgano troppo. Con una mano alza i tassi, ma con l’altra ha già preparato due scudi anti-spread. Non bastano?

Non so, dato che lo strumento del Tpi appena annunciato è ancora poco chiaro. Ma anche se funzionasse a contenere gli spread dei titoli di Stato, salirebbero comunque quelli dei finanziamenti delle imprese. Comunque il rischio è di creare una crisi, che invece è evitabile con un mix di strumenti.

Dunque la Bce non dovrebbe alzare i tassi?

Dico che deve evitare che un rialzo vada a creare una crisi. Un economista francese parla di «qualitative tightening», cioè di «stretta qualitativa». L’idea, che condivido, è che una banca centrale non debba per forza alzare i tassi per tutti, ma solo per quei settori che si stanno surriscaldando. Una politica monetaria selettiva insomma, che alzi i tassi dove serve e magari li tenga bassi per quei settori che invece si vogliono sostenere.

Qui siamo davvero in un terreno inesplorato...

Quello che voglio dire è che usare i tassi come un unico strumento, valido ovunque, non funziona più. Servono nuovi strumenti. Un mix saggio, che raggiunga l’obiettivo di tagliare l'inflazione senza creare una crisi.

Riproduzione riservata ©
  • Morya LongoVicecaposervizio

    Luogo: Milano

    Lingue parlate: Italiano, inglese

    Argomenti: Finanza, mercati azionari e obbligazionari

    Premi: Vincitore del premio State Street 2018 – Giornalista dell’anno, autore del miglior scoop

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