La situazione ucraina e il Piano energetico nazionale (urgente)
di Mario Baldassarri
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Come l’Urss ha fatto in Ungheria nel 1956 e in Cecoslovacchia nel 1968, oggi Putin “corre in soccorso” dei fratelli del Donbass, invadendo l’intera Ucraina. Il suo collante non è più il comunismo internazionalista dell’Unione Sovietica, ma la grande madre Russia dei Romanov. Le manifestazioni di Mosca e San Pietroburgo con oltre 5mila arresti sono un segno di qualche scricchiolio, ma finché Putin ha alle spalle il suo regime autocratico, può permettersi di correre rischi anche estremi. L’Occidente e la Nato, con le loro democrazie, non possono concedersi gli stessi rischi, non possono usare i propri carri armati e adottano sanzioni.
In realtà potrebbe anche essere una questione tra Russia e Ue, ma l’Europa non c’è, né politicamente, né militarmente. Ecco allora che il vuoto europeo viene riempito da un fronteggiarsi da lontano tra la Russia che, dopo aver perso tanti Paesi ex-sovietici, vuole ristabilire la sua egemonia sull’Ucraina, e gli Stati Uniti, che guidando e pagando in gran parte la Nato, vogliono tenerla a bada e bloccare l’aspirazione a ridiventare la grande madre Russia.
Anche se c’è la guerra, cerchiamo però di ragionare. Per oltre venti anni l’Occidente ha compiuto tre peccati originali che hanno dato alla Cina la possibilità di cambiare la faccia geoeconomica del Mondo e hanno ora indotto la Russia alla tentazione di cambiare la faccia geopolitica d’Europa.
1 - Gli Stati Uniti (con la supina condiscendenza europea) hanno consentito l’ingresso della Cina nel Wto, lasciandole la facoltà di decidere politicamente il cambio del renmimbi. Per venti anni la Cina ha quindi potuto accumulare 700 miliardi di dollari di surplus commerciale, cioè 14mila miliardi, pari all’intero Pil europeo. Questo significa che i soldi degli americani e degli europei sono andati in Cina per comprare le loro merci. I cinesi li hanno risparmiati, hanno accumulato ingenti fondi sovrani e, con i soldi che noi gli abbiamo dato, sono tornati in America e in Europa a comprare titoli dei nostri debiti pubblici e soprattutto pezzi strategici del nostro sistema produttivo e logistico. E poiché i soldi erano e sono tanti hanno anche potuto comprare pezzi importanti di Africa e Sud America.
2 - Di fronte alla globalizzazione è apparso subito evidente che il vecchio G7 non poteva più governare il mondo, rappresentandone solo un terzo. Occorreva subito un nuovo G8 per coinvolgere Cina, India, Russia, America Latina e Africa. Un primo embrione apparve venti anni fa a Pratica di Mare con il G7+1. Ma dopo, invece di integrare la Russia in Europa (e in prospettiva anche nella Nato), l’abbiamo esclusa e circondata.
3 - Il peccato tutto europeo è che abbiamo costruito una politica energetica legata ai tubi del gas russo. Solo la Francia si chiama fuori con le sue 58 centrali nucleari. La Germania ha rinunciato al nucleare e si è attaccata ai tubi del Nord Stream 1 e 2. L’Italia ha rinunciato al nucleare, non ha fatto i degassificatori per ricevere gas dal mare, ha rinunciato al gas nazionale e anch’essa si è attaccata ai tubi del gas russo. Dieci anni fa la dipendenza europea dal gas russo era al 20%, oggi è raddoppiata a oltre il 40 per cento.
Tutto questo è avvenuto non per semplice stupidità, ma per una miope visione di breve-medio periodo dell’Occidente, attratto dalle possibilità di “fare affari” sia con la Cina che con la Russia. È mancata una visione strategica di lungo periodo che permettesse di capire che la prosperità degli affari di breve-medio termine veniva via via pagata con la progressiva perdita di sovranità e potere nello scenario globale del XXI secolo.
Fino a una settimana fa, speravamo tutti che il prezzo del gas cominciasse a scendere a metà di quest’anno. Appena iniziata l’invasione è invece aumentato di un altro 40 per cento. Con la guerra tutti i conti vanno rifatti, anche perché le sanzioni penalizzano chi le subisce, ma anche chi le infligge. Più in Europa che in America e più in Italia che in Europa. E allora che altro fare?
L’Ue deve rinviare di almeno due anni il nuovo patto di Stabilità e raddoppiare il Ngeu, costituendo subito tre fondi comuni: uno per sostenere le imprese colpite dal boomerang delle sanzioni, uno per la difesa europea dentro la Nato e uno per un Piano energetico dell’Unione che dimezzi la dipendenza dall’estero in dieci anni.
In Italia, prima della guerra, il caro bollette pesava su famiglie e imprese per 22 miliardi a trimestre. A fronte di questo, il governo ha dato sostegni per circa 5 miliardi. Con la guerra, quest’anno l’ulteriore aumento del prezzo del gas comporterà per famiglie e imprese un extra-costo di almeno 35 miliardi a trimestre, 105 miliardi da qui a fine anno. La crescita, già ridotta dal caro-bollette dal 4,5% al 2,5%, rischia di tornare allo zero virgola. L’Italia deve sostenere famiglie e imprese con almeno 40-50 miliardi, agendo a tutto campo lungo la filiera energetica come sugli oneri di sistema per le fonti alternative e con una forte riduzione del peso fiscale. Se, come è probabile, ciò non bastasse, occorrerà un adeguato scostamento di bilancio. E infine, prima del caro-bollette e prima della guerra era comunque urgente varare le riforme strutturali in 6-7 mesi. Ora è necessario vararle in 6-7 settimane, affiancate, dopo oltre venti anni, da un vero Piano energetico nazionale.
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