La solidarietà europea che fa bene allo spread
La via da percorrere è quella di un'azione costruttiva e responsabile da parte dei singoli paesi membri e dell'Europa nel suo complesso. Con questa consapevolezza bisognerà affrontare i prossimi passi e le sfide che ci attendono
di Marcello Minenna
7' di lettura
La terribile pandemia che ci ha colpito quest'anno ha avuto ben pochi aspetti positivi. Tra questi va annoverata senza dubbio la riscoperta di uno spirito di mutuo supporto tra i paesi dell'Unione Europea. La prova più evidente è l'esito del Consiglio Europeo appena conclusosi, dopo un lungo negoziato, con un'intesa sul Recovery Fund che ha saputo accogliere le istanze dei paesi più colpiti dal Covid-19 evitandone l'umiliazione con l'imposizione di condizioni vessatorie.
Un risultato simile sarebbe stato impensabile fino a un anno fa quando il rapporto tra l'Italia e l'Europa si era sensibilmente incrinato allontanando gli investitori dai nostri titoli di Stato e impedendo – come commentato all'epoca – al nostro paese di beneficiare del bassissimo livello dei tassi d'interesse di riferimento stabilito dalla BCE. Intanto, la divergenza rispetto alla Spagna – un tempo paese con un debito complessivo (pubblico e privato) paragonabile al nostro in rapporto alle dimensioni rispettive delle due economie – aumentava costantemente. Anche i principali indicatori del rischio-Italia erano da tempo su valori preoccupanti. Lo spread BTP-Bund a 10 anni (il più celebre termometro dello stato di salute dei nostri conti pubblici) era stabilmente intorno ai 250 punti base (addirittura 350 se rettificato per il differenziale d'inflazione tra Italia e Germania) segnalando un persistente eccesso di rischio di credito incorporato nei nostri titoli governativi. Una parte rilevante di questo rischio era rappresentata dal rischio di ridenominazione (redenomination risk), ossia di un'uscita dell'Italia dall'Eurozona e di un ritorno alla lira. Un simile scenario (Italexit) comporterebbe con alta probabilità una svalutazione della nuova lira rispetto all'euro (ammesso che sopravvivesse alla perdita di un paese fondatore) o al dollaro e quindi una perdita secca per i detentori di BTP. Pertanto secondo lo standard ISDA (International Swaps and Derivatives Association) del 2014 si configurerebbe un evento di credito per l'emittente-Italia con conseguente attivazione della protezione offerta dai contratti derivati (credit default swap o CDS) aventi come sottostante il rischio di credito del nostro paese. Non così invece per i CDS stipulati secondo il precedente standard ISDA (quello del 2003) il quale non contempla la ridenominazione/svalutazione tra gli eventi di credito. Proprio per questa differenza, l'ISDA Basis – cioè la distanza tra i prezzi dei CDS sotto i due standard (2014 versus 2003) – è la misura più utilizzata per quantificare il rischio di ridenominazione percepito dai mercati finanziari.Sino al dicembre 2016 i valori di questo indicatore sono stati molto contenuti (sotto i 20 punti base); nel 2017 è iniziata una fase di maggiore turbolenza con impennate a più riprese fino all'agosto 2019 e, infine, a partire dal settembre 2019 i suoi valori si sono progressivamente sgonfiati seppure in un contesto volatile
La dinamica osservata tra il 2017 e l'estate 2019 è attribuibile in larga misura al deterioramento dei rapporti tra l'Italia e le istituzioni Europee. La fiammata iniziale (prima metà del 2017) del rischio di Italexit si è registrata in connessione con gli sviluppi della campagna elettorale nella vicina Francia dove si temeva la vittoria dei partiti anti-Europei. Dopo una temporanea riduzione nella seconda metà del 2017, è stata l'evoluzione del quadro politico interno ad alimentare un nuovo e più significativo incremento dell'ISDA Basis con l'insediamento del governo giallo-verde a fine maggio 2018. Gli obiettivi di aumento della spesa pubblica perseguiti dall'esecutivo italiano non trovavano infatti il gradimento delle istituzioni Europee tradizionalmente sostenitrici della necessità di contenere il deficit specie da parte dei paesi ad alto debito come il nostro.
Questo clima di tensione è stato per l'Italia – come fu a suo tempo per la Grecia – il punto culminante delle criticità derivanti dall'appartenenza all'area euro. Dati gli stringenti vincoli di bilancio europei e la clausola di non-salvataggio scritta nei trattati, per i paesi dell'Eurozona la sovranità fiscale è de facto solo formale: le decisioni di politica economica nazionale sono infatti soggette alla duplice valutazione dei mercati e delle autorità Europee, Commissione in primis. In parallelo, il continuo rinvio di concreti passi avanti verso una vera unione fiscale e verso un debito pubblico federale Europeo ha imposto ai paesi più indebitati politiche di bilancio anticicliche che, frenando la crescita, hanno finito coll'influenzare negativamente il rapporto Debito/PIL.L'anomalia e la crescente insostenibilità di questo assetto sono emerse in tutta la loro evidenza nel modo in cui l'Europa – e l'Eurozona in particolare – ha gestito la risposta alla crisi finanziaria globale adottando sin dal 2010 (all'indomani del meeting franco-tedesco di Deauville) una policy di segregazione dei rischi nei paesi periferici. Da allora la gran parte degli interventi compiuti dalle istituzioni europee per ridare stabilità all'unione monetaria sono stati accomunati dall'obiettivo di evitare la condivisione dei rischi (risk-sharing) sui debiti pubblici e sui sistemi bancari nazionali. La reazione dei paesi periferici a questa policy ha variamente oscillato tra il tentativo di restare conformi alle regole europee e un sentimento anti-europeista che è sfociato nell'ascesa di forze politiche sovraniste ed Euro-scettiche.
Nel caso dell'Italia, ciò spiega perché, all'apice della fase di tensione nei rapporti con l'Europa, l'ISDA Basis a 5 anni abbia superato i 110 punti base, il che equivale ad una probabilità di Italexit di circa il 9%.
A fine agosto 2019 è iniziata una nuova fase di progressiva normalizzazione del rischio di ridenominazione sul debito pubblico italiano, segnale di un ritrovato sentimento di appartenenza all'area euro. Il successivo scoppio dell'epidemia nel nostro paese – primo ad essere colpito nel mondo occidentale – ha nuovamente messo in pericolo questo delicato equilibrio. In particolare, tra il 9 marzo – quando tutta l'Italia stava entrando in lockdown – e il 15 maggio scorso si sono registrate nuove fibrillazioni del rischio di Italexit seppure senza mai arrivare ai picchi toccati nel biennio precedente. Stavolta le preoccupazioni degli operatori di mercato non sono state alimentate dall'atteggiamento conflittuale della leadership politica italiana, ma piuttosto dalla deludente risposta iniziale delle istituzioni Europee all'emergenza Covid. Si pensi alle prime dichiarazioni della Lagarde sull'ultroneità del problema spread rispetto agli obiettivi della BCE e ai tentennamenti iniziali della Commissione Europea sull'allentamento dei vincoli fiscali stabiliti da Bruxelles. Fortunatamente l'Europa ha saputo riconsiderare con tempestività la gravità della situazione e agire di conseguenza già nella seconda metà di marzo con il lancio del programma di acquisto di titoli per l'emergenza pandemica (PEPP) da parte della BCE, la sospensione del Patto di Stabilità e Crescita da parte della Commissione Europea e la sospensione del limite agli acquisti su emittente ed emissione sempre da parte della BCE.I mercati hanno metabolizzato questi segnali di un progressivo cambio di approccio alla crisi da parte delle istituzioni europee il che ha permesso all'ISDA Basis di non superare mai i 65 punti base. Dopo alcuni sussulti ad aprile (in concomitanza con una mega-emissione di BTP a 5 e 30 anni per complessivi 16 miliardi di euro) e a inizio maggio (di fronte alla doccia gelata della Corte Costituzionale tedesca sulla legittimità dei programmi di acquisto della BCE), il rischio di ridenominazione ha ripreso il trend discendente di alcuni mesi prima.
Attualmente, grazie al superamento dell'emergenza sanitaria e all'accordo trovato sul Recovery Fund – il programma di sostegno finanziario da 750 miliardi di euro per supportare la ripresa – l'ISDA Basis dell'Italia è tornata intorno ai 40 punti base, lo stesso livello registrato a inizio anno.
Un'ulteriore conferma della ritrovata sintonia tra l'Italia e l'Europa è offerta indirettamente dalla dinamica relativa dei rendimenti sui titoli di Stato italiani e spagnoli: durante la fase di maggiore turbolenza dell'ISDA Basis (maggio 2018-giugno 2019) la divergenza tra i due rendimenti era aumentata sino a raggiungere i 200 punti base, per poi ridursi nella seconda metà del 2019 fin sotto i 100 punti base. Nelle prime settimane dell'epidemia in Italia (marzo 2020) questo riallineamento è stato messo alla prova, ma il successivo moltiplicarsi delle notizie positive sul fronte Europeo di contrasto alle conseguenze economiche del virus ha evitato una nuova deriva divergente.
Analoghe dinamiche si sono osservate anche nel comportamento relativo dei CDS sovrani di Italia e Spagna. Assumendo, senza eccessive semplificazioni, che negli ultimi anni la Spagna sia diventata il benchmark del rischio “periferico”, ossia del rischio di appartenenza ad un'unione monetaria sub-ottimale per le ragioni sopra esposte, è possibile scomporre il CDS ISDA-2014 dell'Italia in una componente di rischio di ridenominazione individuata dall'ISDA Basis, una componente di rischio periferico individuata dal CDS ISDA-2003 della Spagna e una componente di rischio idiosincratico dell'Italia. Quest'ultima componente riflette le attese dei mercati sulla dinamica futura delle principali grandezze economico-finanziarie del paese ed è ragionevolmente approssimata dalla differenza tra il CDS ISDA-2003 dell'Italia e quello della Spagna.
Tra il maggio 2018 e il giugno 2019 l'aumento del rischio-sovrano dell'Italia è stato dovuto all'impennata del rischio di ridenominazione e di quello idiosincratico, mentre l'incidenza della componente di rischio periferico è rimasta sostanzialmente immutata. Di contro quest'anno, di fronte allo shock pandemico, si è assistito a un balzo verso l'alto di tutte le tre componenti del rischio-Italia e alla loro successiva riduzione a partire dalla seconda metà di maggio a riprova della natura meno asimmetrica dello shock (presto condiviso con la Spagna e altri paesi Europei) e dell'apprezzamento dei mercati per le decisioni delle istituzioni Europee nella direzione di un supporto concreto ai paesi più colpiti.
L'evoluzione dei principali indicatori di mercato del rischio-Italia negli ultimi anni mostra dunque che tale rischio – e in particolare la componente associata allo scenario Italexit – è molto sensibile al clima politico (pro-Euro o Euro-scettico) all'interno del paese come pure alle concrete manifestazioni di coesione e mutuo supporto da parte delle istituzioni Europee nei confronti dei paesi più fragili. In particolare, di fronte all'enorme shock esogeno rappresentato dal Covid-19, i mercati hanno complessivamente apprezzato sia la condotta ordinata e decisa della leadership politica italiana sia le manifestazioni di supporto e solidarietà da parte delle istituzioni Europee. È chiaro quindi che la via da percorrere è quella di un'azione costruttiva e responsabile da parte dei singoli paesi membri e dell'Europa nel suo complesso. Con questa consapevolezza bisognerà affrontare i prossimi passi e le sfide che ci attendono: l'imminente scadenza (il 5 agosto) dell'ultimatum della Corte Costituzionale tedesca alla BCE sulla legittimità del quantitative easing, la finalizzazione del Recovery Fund nei termini che sono stati concordati in questi giorni al Consiglio Europeo e il rischio di nuove ondate di contagi da Covid-19. All'Europa il compito di tutelare l'intesa sul Recovery Fund e di astenersi dall'inserimento di condizioni insidiose nei meandri del testo definitivo dell'accordo, e ai singoli Stati il dovere di spendere in modo efficiente ed efficace le ingenti risorse messe a loro disposizione. La sfida è aperta e la posta in gioco è il destino del progetto Europeo.
Direttore Generale dell'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli
@MarcelloMinenna
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