La sostenibilità consentirà all’Italia di rafforzare i campioni dell’alta gamma
Leader del settore, consulenti e associazioni concordi sulla necessità di investire in digitale e formazione. L’evento al Mudec di Milano seguito in presenza e online da 1.500 persone
di Giulia Crivelli
4' di lettura
Auditorium del Mudec di Milano al massimo della sua capienza fisica, 1.300 pre-registrazioni e un totale di 1.500 “spettatori” totali, sommando chi ha raggiunto il Museo delle culture e chi ha seguito in streaming: sono i numeri della 14esima edizione del Luxury Summit del Sole 24 Ore. Tornato in presenza dopo due edizioni autenticamente ibride – come è stato per molti appuntamenti a causa del Covid – l’evento dedicato al tessile-moda-accessorio (Tma) italiano, per definizione di alta gamma, si è focalizzato sul tema più importante per il presente e il futuro di ogni persona, azienda, Paese del mondo: la sostenibilità o – per usare il termine più diffuso nel mondo della finanza – i criteri Esg (environment, social e governance).
Il rischio quando si parla di sostenibilità è scivolare nel greenwashing (attenzione all’ambiente solo di facciata) o nel pinkwashing, neologismo che indica un interesse, anche in questo caso solo di facciata, per valori come inclusività, diversità, pari opportunità, in particolare di genere. E potremmo aggiungere il nuovissimo bluewashing: visto che l’acqua è l’oro blu e tutti, sulla carta, vogliono preservare mari e oceani. C’è chi lo fa sul serio e chi, di nuovo, solo in modo superficiale. «È la prima volta che il Luxury Summit è dedicato interamente alla sostenibilità - ha sottolineato il direttore del Sole 24 Ore Fabio Tamburini aprendo i lavori -. Non perché sia questa la tendenza, anzi, proprio per andare controtendenza: la sostenibilità non deve essere una moda, ma un cambiamento concreto, da favorire ogni giorno. Come in molti altri settori, al Sole 24 Ore siamo impegnati a capire e cercare di spiegare come passare dal dire al fare. Nel lusso, un comparto che nel 2022 è cresciuto a due cifre – ha aggiunto Fabio Tamburini – sostenibilità, che deve essere in primis economica, significa anche formazione e investimento nelle scuole che creano gli artigiani del futuro, ai quali sono richieste nuove competenze, manuali e pure digitali».
A confermare il positivo andamento del 2022, il buon inizio del 2023 e l’impegno - teorico e pratico - nella sostenibilità sono stati i rappresentanti di tre delle principali associazioni della filiera italiana del tessile-moda: Carlo Capasa e Mario Boselli, rispettivamente presidente e presidente onorario della Camera della moda italiana, Ercole Botto Poala, imprenditore tessile e presidente di Confindustria Moda, e Sergio Tamborini, amministratore delegato del gruppo Ratti e presidente di Sistema moda Italia (Smi), la componente più strettamente manifatturiera di Confindustria Moda. Fil rouge degli interventi - per usare la metafora scelta da Gemma D’Auria, senior partner di McKinsey&Company - è stata la necessità di usare contemporaneamente un microscopio e un telescopio: «Ogni azienda deve fare scelte quotidiane che riguardano i criteri Esg e in Italia l’impegno è preso molto seriamente da chi è quotato e da chi non lo è. Da qui il paragone con il microscopio, l’attenzione al dettaglio - ha sottolinea D’Auria -. Ma allo stesso tempo serve visione e capacità di immagine un futuro diverso e migliore proprio perché sempre più rispettoso dell’ambiente, delle persone e di come viene guidata e organizzata un’azienda al suo interno».
Mario Boselli ha ricordato di aver coniato l’espressione «bello e ben fatto», negli anni 2000, proprio per indicare l’eccellenza creativa e allo stesso tempo manifatturiera delle aziende italiane. «Un’intuizione felicissima, quella di Mario, alla quale abbiamo aggiungo la parola sostenibile», ha sottolinea Carlo Capasa, ricordando le numerose iniziative della Camera della moda, che ha istituito tavoli di lavoro su ogni aspetto della sostenibilità, dall’uso dei prodotti chimici nella filiera all’inclusività, dalla formazione e sostegno agli stilisti del futuro all’economia circolare.
«Riunirsi, confrontarsi, cercare soluzioni e scambiarsi informazioni è fondamentale e persino in Italia stiamo imparando a farlo, nonostante le tantissime forme di campanilismo – ha aggiunto Ercole Botto Poala –. Lo dimostra la nascita stessa di Confindustria Moda, nel 2018, che raggruppa le imprese associate a Smi, Assopellettieri, Aip, Anfao (occhiali), Assocalzaturifici, Assopellettieri, Federorafi e Unic (concerie). Ma serve un passo ulteriore: dobbiamo essere più presenti e rappresentati a Bruxelles, dove abbiamo molti interessi comuni con la Francia, ma divergenti con la maggior parte dei Paesi del nord Europa, dove la grande distribuzione e le catene vorrebbero regole molto diverse a quelle che servono alle imprese di alta gamma italiane e francesi».
Un tema sottolineato con forza da Sergio Tamborini, da sempre impegnato a spiegare le differenze che esistono all’interno dell’industria europea e globale della moda: «Nei Paesi più ricchi le persone acquistano da 70 a 90 capi all’anno, pari a 150-180 capi. Si pensi però che le due principali catene di fast fashion europee immettono sul mercato il doppio degli associati di Camera moda – ha detto Tamborini –. Noi crediamo nella teoria “produrre meno e meglio” o, visto dal consumatore, “comprare meno e meglio”. Dove meglio significa più sostenibile. Ma altri importanti attori europei sono una strada diversa e le regole che saranno presto dettate da Bruxelles non possono essere uguali per tutti».
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