La sostenibilità democratica e le imprese: dal consumo alla partecipazione
Il nuovo millennio ha testimoniato la progressiva affermazione del ruolo sociale dell’impresa, cruciale nella progettazione di un futuro collettivo
di Gabriele Segre * e Andrea Notarnicola **
3' di lettura
L’ordine democratico è in crisi. Costruito faticosamente nell’Europa del secolo breve, difeso dai totalitarismi, oggi sembra sempre più dato per scontato e minacciato da un crescente disinteresse. Così il populismo e lo spegnersi della partecipazione politica ci paiono sintomi di quanto la collettività abbia perso attenzione per il valore principale del lavoro democratico: il poter decidere insieme del proprio futuro.
La passività diffusa si trasforma in atteggiamento di attesa per una soluzione che “venga da fuori”, permettendoci di restare a guardare nella speranza che “Qualcun Altro” si attivi. È un modo di guardare la democrazia che potremmo definire “commerciale”: quando l’individuo rinuncia al suo ruolo attivo e partecipativo di cittadino, nei fatti assume una funzione verso le istituzioni e verso l’offerta politica di “consumatore”. Se il prodotto offerto sullo scaffale della politica non è considerato all’altezza, le persone non comprano e quindi non partecipano.
La conseguenza di questo atteggiamento è un’evoluzione della cultura della cittadinanza che finisce per affermare una logica della partecipazione radicalmente diversa: quando la proposta offerta dagli altri membri della comunità, dalla politica, dalle istituzioni non piace, non si prova più a cambiarla, ma semplicemente ci si “dimette” dal proprio ruolo di cittadini. È una modalità che rischia di modificare nella sostanza la relazione tra individuo e istituzioni a tutti i livelli, e di conseguenza la stessa architettura democratica.
Se viene a mancare il concetto di cittadinanza come incarnazione dello spirito di partecipazione e dello sforzo necessario alla sua pratica, rischia di cessare anche la stessa idea di costruzione dell’ordine basato su un progetto condiviso. Alla luce di questa crisi culturale, diventa urgente chiedersi quale collettività e quale democrazia lasceremo alle prossime generazioni, partendo dal riconoscimento che tutti i livelli sociali hanno interesse diretto a preservare l’idea di cittadinanza come partecipazione e non come consumo.
E tra i livelli maggiormente coinvolti c’è sicuramente quello imprenditoriale. I primi due decenni del nuovo millennio hanno testimoniato la progressiva affermazione del ruolo sociale delle imprese, divenuto cruciale nella progettazione di un futuro collettivo. Il fenomeno è diventato evidente a partire dalla crisi globale del 2008 che ha spinto molte multinazionali ad offrire, anziché sconti e premi, quei servizi pubblici essenziali al cittadino che le istituzioni faticavano ad erogare.
Oggi le imprese propongono sempre più la possibilità di scegliere un prodotto in base non solo alla sua qualità, ma anche a valori condivisi: sostenibilità e inclusività in primo luogo. In questo contesto, le aziende e le comunità che le animano hanno l’opportunità di ampliare il proprio ruolo di partecipazione pubblica verso una nuova categoria di sostenibilità, oltre a quella ambientale, sociale ed economica: la sostenibilità democratica.
È questa un’opportunità per dare sempre più voce alla cittadinanza, conservando il pieno rispetto dell’equilibro tra ruolo pubblico e autonomia di azione. Le aziende, per la loro natura di ecosistemi comunitari, sono già esse stesse luoghi di aggregazione e confronto, e dispongono di piattaforme e infrastrutture dove la cultura della partecipazione può essere introdotta e promossa. Ad esempio, possono alimentare l’avanzamento della cultura democratica attraverso la creazione di reti di soggetti che fungano da agenti del cambiamento, employee resource groups e programmi di intelligenza collettiva.
Al tempo stesso, possono coinvolgere l’'indotto e la rete ad esso connessa, costruendo spazi e occasioni che aiutino la promozione della cultura del dialogo e della diversità di opinione. Senza sovrapporsi al lavoro della politica hanno altresì gli strumenti per promuovere sondaggi e ricerche di mercato capaci di analizzare più nel dettaglio i desideri e le aspirazioni del cittadino nei confronti della vita pubblica.
Uno sforzo di attenzione, approfondimento e cittadinanza attiva in favore della cultura democratica potrebbe essere particolarmente ben recepito in particolare dalle giovani generazioni. I millennial e i nativi digitali sono, più di ogni altra fascia di età, sensibili ai valori espressi e promossi da un marchio. In questo caso si tratta proprio di quelli fondamentali attraverso cui abbiamo costruito la nostra società e che non possiamo permetterci di perdere. Per il bene anche delle stesse imprese.
*Direttore della Vittorio Dan Segre Foundation
**Consulente senior di Newton Spa
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