Cinema e coronavirus

La speranza di Francesco Bruni: rivedere il buio della sala

Il regista di «Cosa sarà», titolo di chiusura della Festa del Cinema di Roma, dice la sua sulla situazione delle sale italiane, il decreto che ha portato alla chiusura di cinema e teatri e ci racconta il suo ultimo film

di Stefano Biolchini e Andrea Chimento

Francesco Bruni (GettyImages)

4' di lettura

Abbiamo intervistato Francesco Bruni, regista del recente «Cosa sarà», film emozionante e in grado di far riflettere, scelto come titolo di chiusura della Festa del Cinema di Roma.
Uscito nelle sale il 24 ottobre, il film, la cui programmazione era già stata rinviata a causa del precedente lockdown, è rimasto nei cinema solo due giorni prima del nuovo blocco, trovandosi così costretto a essere proposto in streaming.

Bruni però promette a se stesso e agli spettatori che, appena sarà possibile, il suo lavoro rivedrà il buio della sala.

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Ritiene che siano state sufficienti le misure di prevenzione dei contagi attuate dalle sale fino a quando sono state aperte?

Sono andato in sala fino a qualche giorno fa e ci sarei andato ancora se fossero rimaste aperte: le norme in atto mi sono sembrate efficaci per garantire sicurezza. Mascherine, distanziamento, disinfezione e misurazione della temperatura: tutte misure che hanno permesso di sentirsi completamente al sicuro nelle sale. Anche le statistiche hanno dimostrato, non solo a livello italiano, come quelle di Agis, l'assenza di contagi anche nei casi in cui in sala erano purtroppo presenti persone risultate poi positive al Covid.

Che cosa pensa delle misure attuate in Italia: il governo avrebbe potuto fare qualcosa di diverso?

Credo che ci sia stata un po' di precipitazione nel decidere di chiudere i cinema e i teatri, scelta senz'altro dovuta al panico che si è diffuso per l'aumento dei contagi e che sarebbe poi stata probabilmente comunque necessaria. Penso che i cinema “scontino” un po' le altre scelte, quali ad esempio la chiusura dei ristoranti, con una filosofia del “mal comune mezzo gaudio”. Difficile dire che i ristoranti e altri esercizi commerciali chiudono e i cinema restano aperti: penso che il ministro Franceschini sapesse che non ci sono rischi al cinema, ma abbia acconsentito a questa chiusura per amore di coesione politica.

Come vede il futuro delle sale cinematografiche?

Io sono un “partigiano” della sala, fermamente convinto che la gente avrà molta voglia di tornare in sala e che le proiezioni “in presenza” non saranno solo per cinefili e in rassegne di film d'essai. Anche i dati del 2019 avevano segnalato un forte rialzo delle presenze in sala, a dimostrazione di una tendenza culturale importante.Anzi, credo, magari in controtendenza rispetto alla maggioranza, che le persone siano pienamente consapevoli che la visione in sala è un'altra cosa: una visione non solo emotivamente più coinvolgente e senza elementi di disturbo, ma soprattutto di qualità visiva e sonora non paragonabile a quella casalinga. Credo che la “immersione sensoriale” della sala non sia uguagliabile.

Come valuta i provvedimenti che il governo attuerà per aiutare le sale?

Le misure per un sostegno economico ci saranno, sono già state decise e saranno ad ampio raggio, ma ognuno di noi preferisce vivere del suo e non affidarsi a un assistenzialismo che già inquina il nostro Paese. Importante è capire e avere sensibilità sul fatto che il cinema non sono soltanto le star, i red carpet e i registi, ma soprattutto le maestranze del set, la produzione, gli uffici stampa, il personale di sala (solo per fare qualche esempio) e quindi le azioni per non affossare il cinema devono avere uno spettro di azione molto ampio. Si è parlato di riapertura delle sale tra un mese, ma sinceramente lo vedo poco praticabile.

Scenari europei o stranieri a cui lei guarda con interesse a fronte dell'emergenza Covid?

Ho guardato con particolare attenzione i dati statistici della Francia, dove purtroppo si è arrivati alla chiusura. Nel caso francese, però, pur con dati peggiori dei nostri, le sale sono rimaste aperte fino a che è stato possibile con incassi ragguardevoli (il primo film francese ha contato 454.000 presenze). Ci sono dei Paesi dove, naturalmente con tutte le cautele, si fanno proiezioni in presenza: ad esempio, il mio film verrà proiettato al MittelCinemaFest di Budapest e anche a Tokyo per una serata organizzata dal Festival di Cinema Italiano, certo con un numero limitato di persone, ma comunque in presenza fisica.

Il suo ultimo film, «Cosa sarà», è stato bloccato per due volte dalla chiusura delle sale e negli ultimi mesi ha anche cambiato titolo (originariamente si doveva chiamare «Andrà tutto bene», ndr). Ci vuole parlare di questo cambio di titolo e della scelta di proporlo in streaming?

Il titolo «Cosa sarà» è stato proposto lo scorso giugno dalla produzione: a me è piaciuto subito… è un titolo che si riferiva alle incertezze del personaggio, ma – come il precedente «Andrà tutto bene» - è stato un po' profetico e ora riguarda tutti quanti. Alla Festa del Cinema di Roma è stato molto ben accolto dal pubblico e dalla stampa e speravamo potesse rimanere in sala parecchio tempo: data la situazione abbiamo condiviso la scelta di proporlo in streaming dal 31 ottobre, ma in cuor mio spero che il passaggio in streaming possa fare da volano per il ritorno in sala, appena possibile: lo streaming potrebbe infatti essere un ottimo passaparola perché non tutti hanno a disposizione lo streaming sulle televisioni, specialmente nella fascia di età fra le più interessate al film.

Quanto c'è di autobiografico in questo film che parla di un regista vittima di una grave malattia?

Nonostante i collegamenti, non è un film autobiografico, anche perché il mio “alter ego” interpretato da Kim Rossi Stuart è molto diverso da me ed è più affascinante!Durante la lavorazione ho capito che mi dovevo allontanare da me stesso e che dovevo creare delle svolte drammaturgiche che non erano le mie: così il film e i personaggi hanno avuto una vita propria.Per me, però, la lavorazione di questo film è stata davvero un'esperienza positiva molto forte: una sorta di seduta di terapia di liberazione, che mi è valsa come qualche anno di psicoanalisi.


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