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La spinta tedesca e la produttività

La Germania usa gli ampi margini di bilancio ma predica restrizioni sui tassi e sul Patto di stabilità Ue. In Italia la strada per recuperare potere d’acquisto passa dal salario di produttività e dal taglio al cuneo

di Stefano Manzocchi

 Olaf Scholz con il ministro degli Affari speciali Wolfgang Schmidt

3' di lettura

A quale governo, europeo e non, dispiacerebbe concedere aumenti di stipendi del 5 e mezzo percento ai dipendenti pubblici, con in più un bonus molto consistente per il carovita? È quel che fa la coalizione tedesca, in forza dello spazio fiscale di cui dispone, salvo poi insistere su una revisione regressiva del Patto di Stabilità europeo che penalizza i Paesi Membri con debito più alto ed avallare in sostanza anche le posizioni di chi chiede alla BCE di proseguire sulla via della restrizione monetaria. Le dinamiche e le contraddizioni della coalizione semaforo di certo pesano, ma le conseguenze in Europa possono essere preoccupanti.

Alle banche centrali, ed in particolare alla BCE, sono stati attribuiti nell’ultimo quindicennio funzioni e compiti molto estesi, spesso adiacenti se non in parte sovrapponibili a quelli delle autorità fiscali. Oggi, la storia si fa ancor più complessa con l’inflazione da costi che le autorità monetarie si trovano a fronteggiare. In buona sostanza, ed in un approssimativo ordine cronologico, all’origine degli aumenti dei prezzi negli ultimi diciotto mesi vi sono stati: le strozzature dell’offerta in tempo di pandemia, dai chip ai principi attivi farmaceutici; il picco dei costi energetici in coincidenza con la guerra in Ucraina, con la susseguente propagazione degli impulsi lungo le filiere produttive; la ridefinizione della globalizzazione e la transizione energetica.

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Dei tre motori di questa inflazione, il terzo è il più insidioso. Come i prezzi hanno risentito di una pressione al ribasso lungo il tracciato dell’ultimo episodio di intensificazione ed estensione della globalizzazione delle filiere, dalla fine degli anni Ottanta fino all’apogeo del 2008, ora potremmo assistere ad una prolungata pressione al rialzo. In questo contesto, c'è da domandarsi se la restrizione monetaria sia un rimedio credibile e lungimirante, a fronte di una componente strutturale di inflazione che richiederebbe semmai più investimenti per la transizione ecologica e non solo. In Europa, a questo si può arrivare solo con una strategia coerente che contempli la revisione del Patto di Stabilità, la rimodulazione del Next Gen-EU (e dei PNRR) ed il potenziamento di RepowerEU. E, soprattutto, con molti investimenti privati.

In Italia, l’impatto dei rincari di beni energetici ed alimentari, di altri prodotti e di numerosi servizi, ha indotto a far ricorso alla liquidità che era stata accantonata durante i mesi della pandemia, con una contrazione del potere d’acquisto delle famiglie. Oggi si intravvedono segnali di flessione dei prezzi energetici, ma l’aumento dei tassi va restringendo gli spazi di manovra dei policy maker: considerando solo il periodo da settembre 2022 a marzo 2023, il rendimento medio sulle emissioni del Tesoro a 12 mesi è aumentato di circa un punto e mezzo. La spesa per interessi sul debito pubblico passerà dal 3,7% del Pil di quest’anno al 4,5% del 2026. Mentre la riduzione del cuneo fiscale assorbirà tutte le risorse che la maggior crescita nel 2023 potrebbe mettere a disposizione, i beneficiari del taglio potranno contare su circa 200 euro in più in media.

È qualcosa, ma è ancora poco, e soprattutto è molto distante da quello a cui si assiste in Germania, dove il governo dispone di risorse ingenti. Sulla riduzione del cuneo fiscale si può fare molto di più in Italia, agendo su tax expenditures, bonus e incentivi per reperire le risorse. Come si può fare di più sul versante dei contratti da rinnovare e della concorrenza, specie nel terziario. Ed infine, la leva del salario di produttività può rispondere alla duplice esigenza di aumentare il potere d’acquisto dei lavoratori e di tener conto della dispersione delle condizioni aziendali nel nostro Paese. Ma se nel Grande Gioco globale si innestasse un match europeo al ribasso, dove i governi con più agibilità fiscale non tenessero in conto le esigenze dei paesi a più alto debito nella definizione del Patto di Stabilità ed altro, e demandassero invece alla BCE ulteriori misure restrittive, il Continente ne uscirebbe male.

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