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La spirale che porta in alto i costi dei fondi comuni in Italia

Studi di Banca d’Italia hanno fatto toccare con mano il legame esistente tra l’aumento dei costi dei fondi comuni e la forte crescita della raccolta dei fondi a scadenza in Italia

di Gianfranco Ursino

(fotomatrix - Fotolia)

2' di lettura

Con cadenza periodica i regulator e le autorità di vigilanza si interrogano sullo sviluppo dell’industria del risparmio gestito. E puntualmente - in tali occasioni - a livello nazionale ed europeo viene sottolineata l’esigenza di ridurre i costi per i clienti, di alzare l’efficienza del servizio offerto e, allo stesso tempo, garantire crescita e competitività al settore.

In particolare ogni anno l’Esma nel suo “Statistical Report - Performance and Costs of Eu Retail Investment Products” evidenzia l’eccessiva onerosità dei fondi comuni venduti in Italia, che presentano costi tra i più alti in Europa. Per dare un riferimento concreto, per la categoria degli azionari i costi annuali si aggirano in Europa sull’1,5 per cento, mentre per l’Italia tale valore sale al 2 per cento. Percentuali che purtroppo sono ancora molto lontane da ciò che avviene nel mondo anglosassone, caratterizzato da maggior trasparenza e competitività.

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Lo stesso report dell’Esma mette in luce anche i maggiori oneri, mediamente intorno al 40%, che i sottoscrittori dei fondi al dettaglio pagano in più rispetto agli investitori istituzionali. Circostanze che contribuiscono a creare la disaffezione dei piccoli risparmiatori verso i mercati, il che può trovare una conferma empirica nel fatto che in Europa la partecipazione delle famiglie al mercato dei capitali è di gran lunga inferiore rispetto a quella registrata in altre economie avanzate. Tema su cui tanto si discute in sede europea nell’ambito del processo di creazione del Mercato Unico dei Capitali.

Da par suo Banca d’Italia sul tema dei costi dei fondi è intervenuta a più riprese, con profonde riflessioni, puntando in particolare il dito sulle strutture commissionali dei fondi a scadenza predefinita che, con il ritorno degli alti rendimenti offerti dai titoli di Stato, hanno ritrovato nell’ultimo anno un forte appeal, che non si era comunque mai del tutto sopito allo sportello.

Studi empirici di Banca d’Italia, basati sulle segnalazioni di vigilanza delle società di gestione, hanno fatto toccare con mano il legame esistente tra l’aumento dei costi dei fondi comuni e la forte crescita della raccolta dei fondi a scadenza in Italia. Questi ultimi presentano «una struttura commissionale in cui gli oneri sono particolarmente elevati, legati alla presenza di un orizzonte temporale pluriennale e al fatto che la rete di vendita viene solitamente remunerata all’inizio della vita del fondo», come emerge dal paper 391/2017 pubblicato dall’istituto di Via Nazionale.

Un meccanismo di prelievo dei costi per i fondi a scadenza che nel 2012 oltre a essere stato avallato, è stato anche definito nei dettagli da Banca d’Italia. Seppur armata di buone intenzioni, l’Authority ha prestato quindi il fianco ai gestori per strutturare fondi a scadenza con commissioni distorsive e fuori mercato. Ma c’è sempre tempo per correre ai ripari. Del resto le criticità sono emerse da studi pubblicati dalla stessa Banca d’Italia.

Riproduzione riservata ©
  • Gianfranco UrsinoResponsabile Plus24

    Luogo: Milano

    Argomenti: Fondi comuni, Etf, Assicurazioni, Conti correnti, Conti deposito, Mutui, Polizze fideiussorie, Anatocismo, Usura, Risparmio postale, Libretti Coop, Banche, Borsa, Consob, Banca d’Italia, Abf, Acf, Oam, Ocf, Consulenza finanziaria, Fondi pensione, Casse di previdenza, Fintech

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