La storia di Shaqlan: la guerriera nomade che si ritrovò in un circo
In «La danza dell’orice», la scrittrice italo-somala Ubah Cristina Ali Farah, con la sua capacità di ambientare in un altrove narrativo le storie dell'oggi, attingendo forse al folclore della terra di suo padre, firma una fiaba senza tempo
di Lara Ricci
2' di lettura
Non piove da un anno. Il fucile in spalla, la tunica e il turbante incrostati di terra rossa, Shaqlan avanza a cavallo tra i tumuli delle termiti e i resti sbiancati dell'erba. Al suo fianco c'è un anziano, la voce narrante. Le scorte d'acqua sono finte, gli animali allo stremo, gli avvoltoi hanno già il collare di piume imbrattato di sangue. Questa scena suggestiva e drammatica apre La danza dell'orice, racconto di Ubah Cristina Ali Farah, appena stampato in un elegante libriccino da Juxta Press, giovane casa editrice milanese di volumi d'arte. Nell'ultima pagina c'è il ritratto di una specie di donna leopardo, patchwork di antico e nuovo, di selvatico, robotico e umano dell'artista keniana Wangechi Mutu cui l'autrice s'è ispirata.
Shaqlan, il guerriero, uno dei più temuti sul campo, infatti è una donna. Dopo anni di lotta contro invasori inglesi, lei e il suo accompagnatore stanno fuggendo: «La stella Spica stava per tramontare e si vedeva il pianeta rosso di Marte in cielo: un segno nefasto. Per questo io e Shaqlan abbiamo deciso di andarcene». Attraversano un deserto punteggiato di tombe, accompagnati dalle visioni dei jinni: «non esseri in carne ed ossa», pronti a sparire se si pronuncia il nome di Allah. Raggiungono il mare che lambisce una città fatiscente, in quella che potrebbe essere la Somalia di un secolo fa.
Qui gli esercizi equestri della scultorea Shaqlan attirano l'attenzione di un mercante che ne vuole fare un fenomeno da baraccone. Si imbarcano così per una città, forse la Marsiglia dell'esposizione coloniale del 1922 (anche se in questo racconto tra l'Africa e l'Europa i luoghi non si identificano mai fino in fondo) e finiranno per scegliere un altro nomadismo, quello degli artisti circensi, rivelando infine al lettore il segreto di Shaqlan, un segreto da sempre condiviso da troppe donne.
Con la sua capacità di ambientare in un altrove narrativo le storie dell'oggi, attingendo forse al folclore della terra di suo padre, la Somalia, e alla satura bellezza di quei luoghi, questa scrittrice italofona - già fattasi notare per i due romanzi Madre piccola (2007, Frassinelli) e Il comandante del fiume (2014, 66thand2nd) - firma una fiaba senza tempo. Nata a Verona da madre italiana e cresciuta a Mogadiscio fino ai diciott'anni, quando esplose la guerra civile, la sua Danza dell'orice ha il respiro del mito per la poliedricità e l'universalità dei temi che sa incarnare. Forse racconto epico di una doppia emancipazione, di una donna costretta due volte a trovare il suo spazio nel mondo, forse storia amara di una migrazione, di uno snaturarsi senza perdersi e senza integrarsi; di un nuovo ritrovarsi; di una mutazione.
La danza dell'orice
Ubah Cristina Ali Farah
Juxta Press, Milano, pagg. 52, € 17,99
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