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La strada per i paradisi fiscali è lastricata d’inciampi e paradossi

Il lungo cammino che ha portato alla riforma della fiscalità internazionale con l’introduzione della tassa minima globale sulle multinazionali e l’avvio dello scambio automatico di informazioni bancarie è fitto di paradossi e di inciampi della storia

di Angelo Mincuzzi

(franky2010 - stock.adobe.com)

3' di lettura

Il lungo cammino che ha portato alla riforma della fiscalità internazionale con l’introduzione della tassa minima globale sulle multinazionali e l’avvio dello scambio automatico di informazioni bancarie è fitto di paradossi e di inciampi della storia. Donald Trump, per esempio, ha finito per favorire involontariamente il decollo della global minimum tax nonostante la sua avversione per il multilateralismo e lo slogan elettorale che prometteva l’America al primo posto. Vladimir Putin, invece, nove anni prima di invadere l’Ucraina e diventare un ricercato per crimini di guerra dalla Corte penale internazionale, è stato un grande sostenitore del Common reporting standard (Crs), lo schema che ha sancito il superamento del segreto bancario e la condivisione delle informazioni tra i Paesi aderenti, il cui accordo fu firmato nella sala del ministero delle Finanze tedesco che aveva ospitato l’ufficio di Hermann Göring.

I retroscena delle lunghe e complesse trattative che hanno portato al riassetto della fiscalità internazionale vengono raccontati in un libro appena pubblicato in Francia e che non mancherà di alimentare il dibattito sulla lotta all’evasione e all’elusione fiscale. Il volume si intitola Paradis fiscaux, comment on a changé le cours de l’historie, ovvero Paradisi fiscali, come abbiamo cambiato il corso della storia, edito dalle Éditions du Seuil di Parigi. L’ha scritto Pascal Saint-Amans, per 15 anni all’Ocse, prima come capo della Cooperazione internazionale e della divisione Concorrenza fiscale e poi, dal 2012 alla fine del 2022, come direttore del Centro per la politica e l’amministrazione fiscale dell’organizzazione. All’Ocse il G20 aveva affidato il compito di superare i vecchi princìpi stabiliti dalla Società delle Nazioni negli anni a cavallo delle due guerre mondiali e Saint-Amans era l’uomo che aveva la responsabilità di sviluppare i nuovi progetti e di sottoporli ai leader delle 20 economie più importanti della terra. Dietro le quinte – ma non tanto -, è stato lui l’architetto delle nuove regole fiscali internazionali.

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La spinta a riformare i cardini del fisco mondiale era nata dalla necessità di contenere la forza dei paradisi fiscali che avevano permesso la grande evasione dei super ricchi e l’elusione delle multinazionali. Le corporation americane avevano parcheggiato oltre 2mila miliardi di dollari di utili alle Bermuda e alle Cayman facendo mancare oltre 700 miliardi di dollari alle casse degli Stati Uniti. La crisi finanziaria mondiale del 2007 aveva esasperato la situazione perché gli Stati erano alla ricerca spasmodica di liquidità per finanziare la ripresa. Il racconto di Saint-Amans parte da quegli anni e in particolare dalla prima grande fuga di notizie di conti bancari in Liechtenstein nel 2008, solo il primo di una serie di leak che si susseguiranno negli anni successivi e che riguarderanno conti bancari in Svizzera, nei Caraibi, a Panama e in decine di altri paradisi fiscali del mondo. Saint-Amans osserva questi avvenimenti dal suo ufficio dell’Ocse di Parigi, ma approfitta immediatamente di quelle fughe di notizie che, per la prima volta, fanno conoscere all’opinione pubblica l’esistenza di un mondo sconosciuto e mettono sotto pressione i leader politici. Comincia così la lunga marcia verso la rivoluzione o – come la definisce Saint-Amans – la “Yalta” che dovrà stabilire i nuovi equilibri fiscali del mondo.

È un percorso fatto di grandi passi avanti ma anche di mezzi passi indietro, di contrapposizioni tra Paesi, di incomprensioni e di sgambetti tra i leader politici. Tutto questo viene raccontato per la prima volta da Saint-Amans, che in quegli anni ha il compito di costruire il consenso più ampio possibile sotto il cappello del G20 e dell’Ocse. Un progetto ambizioso perché occorreva scrivere nuove regole fiscali soppiantando, almeno in parte, le vecchie norme inadeguate per le multinazionali che trattavano prodotti immateriali. Bisognava dunque superare un vecchio principio, secondo il quale le tasse si versavano solo dove si possedevano stabilimenti fisici, per rimpiazzarlo con un altro: si paga nei Paesi dove ci sono i consumatori che acquistano o utilizzano i prodotti.

Saint-Amans è naturalmente ottimista sui risultati raggiunti in questi anni. Sul fronte dello scambio di informazioni ricorda che 111mila conti bancari, per un valore di 11mila miliardi di euro, sono stati notificati alle amministrazioni fiscali dei Paesi di residenza dei detentori dei depositi e che sono stati recuperati circa 114 miliardi di euro di imposte. Saint-Amans rivendica questi obiettivi, che – scrive – hanno creato un New Deal fiscale. Si vedrà se sarà davvero così. I passi avanti sono stati giganteschi, ma l’evasione e l’elusione sono difficili da sconfiggere. Come ripeteva l’ex ministro delle Finanze e presidente della Confederazione svizzera, Hans-Rudolf Mertz, «i soldi sono come l’acqua, trovano sempre un varco in cui insinuarsi».

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