La strada per tagliare subito le emissioni non passa dall’atomo
di Rossella Muroni
2' di lettura
Gentile direttore,
ho letto con interesse e una certa preoccupazione l’articolo pubblicato sul Sole 24Ore del 27 gennaio a firma del direttore generale della Ricerca del Miur Antonio Agostini nel quale si auspica una nuova stagione di ricerca sul nucleare a partire da passate eccellenze con una partnership pubblico-privato al fine di rispondere alla necessità di «migliorare le condizioni ambientali senza compromettere la crescita economica» e volta a costruire un «meccanismo in grado di promuovere progetti che risolvano i problemi del Paese». A parte una qualche inappropriatezza di linguaggio nel definire «miglioramento delle condizioni ambientali» quelli che sono ormai riconosciuti da una parte schiacciante della comunità scientifica il fattore di rischio maggiore per l’umanità e cioè i cambiamenti climatici, sono molto d’accordo con il direttore sulla necessità di promuovere progetti nell’interesse del Paese.
Mi permetto però di dubitare che la ricerca sul «nuovo» nucleare rappresenti in alcun modo una scelta che va in quella direzione. Innanzitutto perché non mi pare proprio che i miliardi che sono stati spesi, e ahimè ancora lo sono, nella ricerca nucleare abbiano dato alcun risultato nel corso degli ultimi decenni. Molto poco è successo sul nucleare di quarta generazione e anche i famosi piccoli reattori non promettono di arrivare a nulla di utilizzabile a un livello di una qualche rilevanza entro i prossimi decenni. Siamo a zero sulla fusione nonostante il miliardo e mezzo solo dal bilancio Ue dato ogni anno da tempo immemorabile. Aggiungo che nel 2021 l’Italia ha stanziato 305,9 milioni per l’Istituto nazionale di fisica nucleare e per i suoi programmi di ricerca.
Eppure ci sarebbe veramente tantissimo altro su cui concentrare la ricerca e Agostini lo dovrebbe sapere. Entro 9 anni dobbiamo tagliare del 55% le nostre emissioni; entro il 2050 dobbiamo essere un Paese a emissioni nette zero. C’è un sacco da fare anche dal punto di vista della ricerca per ottenere risultati nei prossimi anni nel settore dell’accumulo delle energie intermittenti; nelle reti; nelle nuove fonti di energia pulite; nei materiali di costruzione per rendere le nostre case e i nostri mezzi di trasporto più efficaci, le nostre industrie più competitive e pulite. Nel campo della green economy l’Italia non era, ma è una eccellenza. Ingegneri e ingegnere, ricercatori e ricercatrici abbondano, ma spesso devono emigrare in assenza di attenzione e opportunità. Mi chiedo se Agostini ne sia consapevole e mi piacerebbe molto che prendesse posizione anche su queste opportunità molto più semplici da cogliere e molto più promettenti almeno con lo stesso entusiasmo rispetto a quella che appare ancora, nella migliore delle ipotesi, una prospettiva lontanissima e oggi una opzione pericolosa e costosa.
Vicepresidente della Commissione Ambiente della Camera e deputata FacciamoECO
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