PopBari, gli Iacopini agli arresti: «Potere ancora in sella». Spunta l’autoriciclaggio
Gli arresti nei confronti degli ex vertici della Popolare di Bari mettono in luce la capacità della famiglia Jacobini di influenzare le scelte della banca e di condizionare le indagini, ancora oggi
di Ivan Cimmarusti e Sara Monaci
3' di lettura
Gli arresti nei confronti degli ex vertici della Popolare di Bari mettono in luce la capacità della famiglia Jacobini di influenzare le scelte della banca e di condizionare le indagini, ancora oggi. Una delle prove sarebbe, ad esempio, il tentativo di Gianluca Jacobini di incontrate Benedetto Maggi, dipendente di BpB, «dopo le sue dichiarazioni alla Banca d’Italia», per conoscere gli esiti di quella audizione.
A confermare il rischio che anche nell’attualità Jacobini possa «condizionare» e «influenzare» l’istituto è lo stesso Maggi, vice responsabile della Direzione crediti. Nel suo verbale del 17 dicembre scorso ha parlato «dell’attuale potere di fatto della famiglia Jacobini». Gli stessi inquirenti scrivono negli atti che «la struttura della banca è ancora sottoposta al controllo di fatto della famiglia Jacobini». Non solo: aggiungono che si tratta di un «potere illecito che impedisce il risanamento della banca con i devestanti effetti sull’economia meridionale».
Di certo, stando agli atti, l’ex patron avrebbe una presunta «elevatissima propensione a delinquere». Al punto che avrebbe tentato di mettere al riparo dalle indagini i suoi capitali. L’ipotesi di autoriciclaggio emerge da una serie di operazioni bancarie avvenute pochi giorni prima il commissariamento. «In particolare, si legge, per Marco Jacobini emergono profili di responsabilità in ordine a condotte di autoriciclaggio, non essendosi lo stesso limitato a trasferire il denaro su conti correnti accesi presso altre banche intestati a sé medesimo e o al coniuge, ma avendo impiegato in attività economiche, finanzierie e imprenditoriali il denaro proveniente dai delitti per i quali risulta indagato».
Dalle carte dell’inchiesta della procura di Bari emerge anche il ruolo della Vigilanza nelle varie fasi del dissesto finanziario della Popolare di Bari. Ruolo che probabilmente andrà approfondito ulteriormente, considerato che Bankitalia è da una parte l’autrice di due ispezioni che mettono in luce il dissesto, i finanziamenti baciati, i possibili raggiri nei confronti della clientela, i prestiti a imprenditori a rischio insolvenza; dall’altra però agli occhi degli inquirenti non sempre sembra in grado di agire per trovare una soluzione. Perché un dato sembra emergere in modo chiaro dalle carte degli investigatori: Bankitalia pur chiedendo un cambio di passo nella governance, con la nomina di nuovi vertici in sostituzione di Marco Jacobini, mostra una presunta «accondiscendenza» alle reticenze dell’ex patron dell’istituto di lasciare l’incarico.
Un particolare raccontato a verbale da un esponente di spicco della “Bari”, l’ex ad Giorgio Papa, indagato, ritenuto credibile dai pm. Racconta della «estrema accondiscendenza dei vertici della Banca d’Italia, che pur avendo rilevato la grave e ristagnante situazione conseguente al conflitto di interessi» degli Jacobini «non ha mai esercitato i poteri di “removing” attribuiti dalla Legge allo stesso supremo organo di vigilanza».
Un aspetto che sembrerebbe trovare conferma nelle intercettazioni tra Elia Circelli, ex responsabile dei bilanci, e il revisore legale Corrado Aprico. I due commentano le ispezioni di Bankitalia: «Comunque tutto sommato (...) quello che ci si attendeva». Secondo gli investigatori «a parere di Circelli erano stati confermati i ruoli di vertice della BpB anche se nel contenuto della lettera elaborata dalla Vigilanza di Bankitalia era stata evidenziata la circostanza esattamente contraria, ossia che Marco Jacobini si dovesse dimettere da presidente».
L’inchiesta della magistratura ripercorre le tappe del dissesto, anche ricordando l’aumento di capitale «funzionale alla decisione di salvare Banca Tercas, al fine di convincere Bankitalia a eliminare la sanzione del blocco e in qualche modo di acquisire un credito morale nei confronti della vigilanza». Fatto che effettivamente avvenne, perché Bankitalia tolse l’interdizione alle fusioni, permettendo di acquisire Tercas proprio mentre l’istituto abruzzese era commissariato.
Gli amministratori, secondo gli inquirenti, cercavano di convincere gli ispettori di Palazzo Koch. Quando esaminano le motivazioni dell’accusa di falso in prospetto, mettono in evidenza «la spinta derivante dal desiderio di “accattivarsi” Bankitalia, come risulta dai verbali della riunione consiliare del 17 ottobre 2013». La frode informativa veniva messa in atto anche con «le tabelle dei crediti deteriorati e utilizzo spregiudicato della tabella Deloitte sul prezzo azioni».
Per approfondire:
● 36 miliardi: quanto è costato salvare le banche italiane negli ultimi 5 anni
● Popolare Bari, roadmap di un dissesto che dura da 10 anni
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