La svolta ottimista del Fondo (Italia esclusa)
di Domenico Lombardi
3' di lettura
Quella appena cominciata è una settimana importante per mettere a fuoco le prospettive dell'economia mondiale nel nuovo anno. Il Fondo monetario internazionale ha rilasciato il suo primo aggiornamento congiunturale da cui emerge un quadro stabile per l'anno in corso e quello successivo.
Eppure, dietro l’apparente stabilità delle previsioni aggregate per l’economia mondiale, che crescerà del 3,4% nel 2017 e del 3,6% nel 2018, si amplia la dispersione nella performance attesa delle economie sistemiche.
Tra le economie avanzate, l’Fmi regala un’apertura di credito al nuovo corso che Donald Trump inizierà venerdì prossimo con l’inaugurazione della sua presidenza. Scontando l’effetto netto espansivo della sua amministrazione, almeno nella prima metà del suo mandato, l’Fmi rivede marginalmente al rialzo il tasso di espansione per l’anno in corso (ora pari al 2,3%) e aumenta di quasi mezzo punto percentuale quello previsto per il prossimo anno (pari al 2,5%).
L’aspetto chiave è che tali previsioni non scontano possibili misure di restrizione al commercio internazionale e si basano su ipotesi, ancora tutte da verificare, riguardo alle misure di politica economica – e la loro interazione – che la neo amministrazione assumerà a partire dai prossimi giorni. Pertanto, la previsione centrale aumenta ma presumibilmente diminuisce l’attendibilità della stessa.
Quello che è certo, tuttavia, è che la revisione al rialzo delle aspettative di crescita implicite nelle valutazioni dei prezzi delle attività finanziare già all’indomani dell’elezione di Trump riceve ora il sigillo multilaterale con i risultati del nuovo esercizio previsionale appena diffuso dall’istituzione di Washington. L’ottimismo che sta pervadendo i mercati finanziari viene ora condiviso, e in misura crescente, da economisti del settore istituzionale.
Del resto, nei verbali resi pubblici giorni fa dell’ultima riunione del comitato di politica monetaria della Fed è indicativo che, per la prima volta dalla crisi finanziaria internazionale, i membri di tale comitato sono praticamente unanimi nel riconoscere la possibilità di sorprese positive nel sentiero di crescita dell’economia americana, pur ammettendo un’incertezza ancora sostanziale riguardo all’effetto combinato delle varie misure di politica economica che le potranno generare.
L’altro aspetto da considerare è che tali previsioni, pur al di sotto dell’obiettivo programmatico del 3,5% indicato dal neonominato segretario al Tesoro Steven Mnuchin, sono comunque superiori al tasso di espansione potenziale dell’economia americana che organi bipartisan hanno stimato attorno al 2%.
In altre parole, le attese misure espansive della nuova amministrazione si inseriscono nel contesto di un’economia già in piena occupazione, a meno che la stessa amministrazione non intenda promuovere riforme strutturali volte, per esempio, ad aumentare la produttività e il tasso di partecipazione nella forza lavoro.
Per quanto riguarda le economie emergenti, a fronte della sostanziale stabilità della previsione aggregata, si registra, invece, un riallineamento delle previsioni fra alcune economie sistemiche. Se Arabia Saudita, Brasile, Messico e India registrano tutte una revisione al ribasso, è l’economia cinese a mantenersi su tassi di espansione sostenuti con una previsione del 6,5% per l’anno in corso. Anche se leggermente al di sotto del 6,7% cento dell’anno passato, tale previsione dovrebbe trovare conferma nella batteria di dati relativi all’ultimo trimestre attesi per venerdì prossimo dalle autorità di Pechino: l’aspettativa è che confermino la stabilità dell’attività economica. Pure in questo caso, tuttavia, non è chiaro come gli effetti dinamici delle politiche economiche americane vadano ad impattare sulla Cina. Un rialzo sostenuto dei tassi americani, riflettendo l’annunciata politica fiscale espansiva, andrà a interagire con le già precarie condizioni del settore finanziario cinese che una massiccia ondata di deflussi di capitale dalla Cina rischierebbe di compromettere in misura significativa.
Infine, nell’Eurozona si accresce la dicotomia fra le previsioni sull’Italia e quelle per le altre economie importanti dell’area monetaria, con una correzione al ribasso di due e tre decimi di punto percentuale nel 2017 (pari ora allo 0,7%) e 2018 (0,8%) rispettivamente per la prima, a fronte della sostanziale stabilità della previsione aggregata per l’area. L’Italia, inoltre, si ritrova “isolata” anche
nel G7 essendo l’unico Paese a subire una correzione negativa in entrambi gli anni.
loading...