La tav, gli studi e il primato dei numeri
di Roberto Zucchetti
3' di lettura
Se allo stadio il tifoso nega un fallo evidente fischiato contro la sua squadra, gli si deve riconoscere l’attenuante dell’eccitazione e della passione sportiva, attenuante che invece non merita il cronista che rivede alla moviola il gioco. Per questo, ritengo sia necessario contestare alcune affermazioni “da tifoso” contenute nell’articolo di Gianfilippo Cuneo dal titolo «Sulla decisione per la Tav pesa un clima da stadio» pubblicato lo scorso 15 gennaio su queste colonne.
Concordo con Cuneo che lo strumento dell’analisi costi-benefici non sia adatto a dire l’ultima parola su una scelta complessa come quella di realizzare la nuova ferrovia Torino-Lione. Comincio invece a dissentire sulle tre «alternative» prospettate: «Non spendere assolutamente niente, spendere gli stessi soldi in altre opere pubbliche o spenderli in assistenzialismo, come il reddito di cittadinanza». Come chiunque sia minimamente informato sa, non è possibile spendere nulla: abbiamo cantieri attivi in Italia e Francia e abbiamo scavato quasi 30 chilometri di gallerie. Come minimo si deve smontare tutto e mettere in sicurezza: stima 250 milioni di euro. Inoltre, senza entrare nelle diatribe lessicali (penali o indennizzi), è chiaro che Francia e Unione europea vorranno indietro i soldi che hanno speso contando che l’Italia onorasse il trattato internazionale votato dal Parlamento e sottoscritto (oltre 1 miliardo da restituire); inoltre le imprese che stanno lavorando e che hanno impiantato i cantieri, otterranno dal tribunale civile di Lione (competente a decidere sulla questione) risarcimenti a vario titolo che possiamo ipotizzare intorno a 300 milioni. Perderemmo anche 813 milioni di cofinanziamento europeo e dovremmo investire almeno 1,5 miliardi per la messa in sicurezza della linea ferroviaria attuale. Un danno per l’Italia di oltre 3,8 miliardi. L’alternativa che ridurrebbe il danno, sarebbe quella, evidentemente voluta dal “tifoso”, di dismettere la ferrovia e fare andare tutto su strada.
Anche il ragionamento che l’investimento deve «provenire dalle tasse» è fuorviante e cela malamente il desiderio del “tifoso”: «Gli italiani voterebbero in massa contro tali spese». Faccio parte di quegli autori che scrivono «favole», applicando modelli di analisi economica utilizzati da quasi un secolo: il bello della «favola» è che se, come in questo caso, il 40% dell’investimento lo paga la Ue il rapporto tra quanto investiamo a debito e quanto otteniamo come rilancio dell’economia è molto più favorevole che in qualunque altro investimento pubblico. Otteniamo quindi il beneficio di sostenere la domanda di lavoro e di beni e servizi, che è proprio quello di cui abbiamo bisogno nel breve periodo, visti gli ultimi, deludenti, dati di crescita.
Tornano poi le “mezze verità” (tutte bugie?) della propaganda No Tav: il traffico merci in calo tra Italia e Francia (la ferrovia storica è fuori mercato e non viene più utilizzata se non per trasporti minimi e il traffico su strada cresce a dismisura, così come gli utili dei concessionari stradali che si possono permettere di fare la seconda canna del tunnel). Poi c’è una bugia che sta prendendo piede, quella secondo cui lo scopo del tunnel è fare andar i treni merci più veloci. Questa favola non è scritta da nessuna parte. In tutta Europa si costruiscono le gallerie di base per fare viaggiare treni lunghi che portano molte merci, così che trasportare sulle lunghe distanze costi molto meno e riduca inquinamento, congestione e incidenti (oltre agli incassi dei concessionari autostradali, cosa che sembra preoccupare molto i No Tav/Sì Tir).
Infine, ridicolizzare il contributo che il treno ad alta velocità ha dato agli spostamenti in Italia è da tifoso, ma non da tecnico e neppure da viaggiatore. Oggi da Torino a Roma ci si muove spesso in treno (4 ore e 20 minuti): con la nuova linea da Torino si andrà a Parigi in meno di 4 ore, mentre da Milano serviranno meno di 4 ore e mezza. Il treno renderà le nostre città mete appetibili per il turismo e lo shopping, e ci permetterà di sentirci sempre più europei: anche per questo, la scelta non è tecnica ma politica, nel senso alto e nobile del termine.
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