La transizione green è la chiave del futuro dialogo con Mosca
di Adriana Castagnoli
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Il sistema economico russo è malato. Anche se le banche d’investimento e le istituzioni monetarie internazionali, a giudizio di Anders Åslund, senior fellow all’Atlantic Council di Washington e autore di Russia’s Crony Capitalism: The Path from Market Economy to Kleptocracy, guardano con simpatia alle politiche di austerità varate dal Cremlino, assillate come sono più dalla stabilità della crescita che preoccupate dal benessere dei cittadini. Da quando la Russia ha invaso l’Ucraina, gli investimenti esteri in entrata sono crollati (da 3,1% a 1,4% del Pil), i redditi reali delle famiglie sono diminuiti cinque volte e il rublo si è indebolito. Il FMI pronostica una crescita del 4,4% nel 2021 e del 3,1% nel 2022, inferiore non solo alle performance previste per Cina e India ma anche a quella dell’area euro. Altrettanto negativo il giudizio di Fiona Hill, nel National Security Council con il presidente Donald Trump, che ritiene la “cleptocrazia di Putin” insieme ai cyber-attack una delle minacce più insidiose per i governi occidentali.
La Russia non ha mai formalmente riconosciuto di essere una cyber-potenza, all’opposto degli Stati Uniti che – come osserva il politologo Joseph S. Nye – nel 2010 istituirono il comando unificato nazionale Uscybercom per il dominio nel cyber-spazio. Entrambi hanno penetrato i network dell’altro ma sinora è stato problematico (o non opportuno) distinguere fra le operazioni di intelligence e quelle di preparazione alla guerra. Nel recente summit di Ginevra il presidente Biden ha ricordato al leader russo Vladimir Putin che questo confine è comunque definito dalla lista di quelle che Washington ritiene infrastrutture strategiche.
La rivalità fra grandi potenze, come ha osservato Joschka Fischer, non si è esaurita con la fine della guerra fredda. Nei decenni successivi si è determinato un processo di disgregazione dell’ordine internazionale, disegnato dagli Stati Uniti dopo la seconda guerra mondiale, con vuoti di potere che la Russia e le altre potenze rivali di Washington hanno cercato di riempire. Per gli Usa la competizione con Russia e Cina costituisce un tornante cruciale per il futuro e per l’orientamento del mondo. Tuttavia Mosca non può essere trattata tout court come un avversario. Perciò l’amministrazione Biden sta esplorando la possibilità di trovare un qualche terreno di accordo e di inserire un cuneo nelle relazioni fra Mosca e Pechino, tanto più che un eccessivo legame sino-russo non è neanche nell’interesse nazionale del leader Putin. Realisticamente il presidente Usa ha cercato la cooperazione diplomatica della Germania, attenta a non tagliare i legami con Mosca dall’epoca di Bismarck, accordando alla cancelliera Angela Merkel il completamento del Nord Stream 2 e la cancellazione delle sanzioni. Ma le divisioni fra gli europei sui rapporti con Mosca restano profonde poiché il gasdotto è considerato un’arma geopolitica che il Cremlino può usare per destabilizzare l’Ucraina e per accrescere il suo potere d’influenza sulla Ue tramite le forniture di energia.
In questo scenario, a luglio, Vladimir Putin ha aggiornato, per la prima volta dal 2015, la National Security Strategy. Un manifesto, come afferma Dmitri Trenin del Carnegie Moscow Center, per un’era differente e definita da un intenso crescente confronto con gli Usa e con i loro alleati; da un ritorno alla cultura e ai valori tradizionali russi; dall’importanza per il futuro della Russia di questioni cruciali come la tecnologia e il clima. La visione che sottende il documento disegna un mondo sottoposto a turbolenze e a trasformazioni, ma ammette che le minacce sono tanto all’esterno quanto all’interno del Paese riconoscendone così le lampanti diseguaglianze, gli squilibri e la debolezza.
Eppure, secondo la banca centrale russa, la produzione è tornata ai livelli pre-pandemici e le previsioni di espansione dell’economia si proiettano nella seconda metà dell’anno. Intanto i prezzi dei beni primari aumentano e 20 milioni di persone vivono sotto la soglia di povertà. Le potenzialità di crescita dell’economia russa sono state sfruttate dalla “cleptocrazia”. Ma un rapporto dell’Atlantic Council calcola altresì che le sanzioni occidentali abbiano avuto un effetto cruciale nel dimezzarle, offrendo a Putin l’occasione per ridisegnare un’economia da stato d’assedio: il nemico esterno è funzionale a ricompattare il nazionalismo interno.
Mosca ha avviato un decoupling dal dollaro e dalle banche americane. Il debito pubblico, per lo più detenuto da investitori istituzionali russi, è il 20% del Pil. Negli scambi con l’Ue l’euro ha superato il dollaro, che è utilizzato per meno della metà degli scambi con Pechino.
L’altro decoupling che il presidente Putin vorrebbe attuare è quello informatico. Malgrado aziende tecnologiche che in alcuni settori possono competere con i giganti occidentali, tuttavia la Russia non ha sviluppato capacità tecnologiche nazionali tali da poter eguagliare la potenza di sbarramento di Pechino.
Per di più la sua economia resta dipendente dagli idrocarburi che costituiscono ancora oltre il 60% dell’export e forniscono circa il 40% delle sue entrate. Mosca resta il primo fornitore della Ue con il 30% del greggio e il 40% del gas naturale. Per questo nessuno ha interesse a imporre un embargo sull’export di combustibili fossili, e man mano che il mondo li abbandonerà la Russia sarà via via in difficoltà.
Così a Ginevra i presidenti americano e russo si sono impegnati a rilanciare la collaborazione. Oltre a una nuova agenda per il controllo sulle armi nucleari, il climate change appare una delle aree dove maggiori sono le chance di cooperazione. Quarto Paese per emissioni al mondo la Russia, con ampie aree come la Siberia devastate dagli effetti del surriscaldamento globale, ha sottoscritto l’Accordo di Parigi. Ma sinora la Russia ha fatto poco per un futuro green. Secondo BloombergNEF, gli investimenti russi in energia pulita nel 2014-2019 sono stati un sesto di quelli del Brasile e un decimo di quelli dell’India.
La transizione green europea per ridurre la dipendenza dagli idrocarburi, in particolare da quelli russi, dopo il 2030 potrebbe costare cara a Mosca. La decarbonizzazione delle forniture d’energia inizierà presto a ridurre il flusso di denaro da greggio e da gas verso i forzieri del Cremlino. Il nuovo nevralgico canale di dialogo fra Mosca e Occidente passa inevitabilmente attraverso la transizione all’energia pulita sia nel caso in cui si acuisca il confronto sia per trovare una via d’uscita.
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