La tregua Usa-Cina sui dazi rilancia i prezzi dei prodotti agricoli
di Sissi Bellomo
3' di lettura
È poco più di un fragile armistizio quello firmato tra Cina e Stati Uniti nel fine settimana. Anche se il rischio di una guerra commerciale tra i due Paesi non è scomparso i mercati delle materie prime hanno tuttavia accolto con sollievo gli ultimi sviluppi.
I semi di soia, tra gli obiettivi principali dei potenziali dazi cinesi, hanno guadagnato oltre il 2% al Chicago Board of Trade (Cbot), spingendosi oltre 10 dollari per bushel, mentre il mais – per la verità in ripresa già da qualche mese – ha superato la soglia dei 4 dollari per bushel, al record da due anni.
Si è apprezzato anche il petrolio, in particolare l’americano Wti, sui massimi dal 2014 sopra 72 dollari al barile. Ma è probabile che in questo caso abbiano influito di più l’ultimatum all’Iran lanciato dal segretario di Stato Usa Mike Pompeo, con la minaccia delle «sanzioni più severe nella storia», e il timore di ulteriori misure punitive anche contro il Venezuela, dopo la scontata conferma elettorale del presidente Nicolas Maduro.
L’intesa tra Wasington e Pechino è ancora preliminare: come ha specificato il segretario al Tesoro Stephen Mnuchin consente solo di considerare «sospesa» la guerra commerciale. Tra i pochi punti fermi in un testo che rimane estremamente (e forse volutamente) vago c’è comunque l’impegno ad accelerare le importazioni cinesi di beni e servizi americani, con un riferimento esplicito a un aumento «significativo» degli acquisti di prodotti energetici – in primo luogo petrolio e gas naturale liquefatto (Gnl) – e agricoli.
Sono probabilmente questi ultimi a offrire le maggiori potenzialità nel breve termine. Ed è proprio sui frutti della terra che Donald Trump ha voluto attirare l’attenzione, in una serie di tweet diffusi ieri: «La Cina ha acconsentito a comprare enormi volumi ADDIZIONALI di prodotti agricoli», ha scritto il presidente, con la consueta enfasi e un trionfo di lettere maiuscole. «Acquisteranno dai nostri Grandi Coltivatori Americani praticamente tutto quello che i nostri Agricoltori sono in grado di produrre».
Mnuchin stesso si è detto convinto che ci sia un margine di crescita del 35-40% già da quest’anno, mentre per l’export energetico prevede un raddoppio ma solo nel giro di 3-5 anni. Gli Usa, che sono arrivati ad esportare fino a 2,6 milioni di barili di greggio al giorno, hanno in effetti difficoltà a spingersi oltre, almeno finché non si doteranno di oleodotti più adeguati e di un maggior numero di porti capaci di ospitare le petroliere di stazza maggiore.
L’Energy Information Administration in un rapporto di pochi giorni fa afferma che «attualmente» solo il Louisiana Offshore Oil Port (Loop) può accogliere Vlcc – navi da circa 2 milioni di barili – a pieno carico e che «la maggior parte» dei terminal sulla Gulf Coast riesce a gestire al massimo le Aframax, da 500mila barili.
Il mercato cinese è comunque promettente: Pechino è il maggior importatore di greggio al mondo, con 9,6 milioni di barili al giorno ad aprile, per un valore di oltre 20 miliardi di dollari, e gli acquisti dagli Usa benché in rapida crescita ammontano tuttora a poco più di 200mila bg.
Ci potrebbe essere un grande futuro anche per il gas americano in Cina, viste le previsioni di un enorme aumento del fabbisogno nel Paese asiatico. Ma per ora gli Usa hanno solo due terminal di esportazione e la produzione è in gran parte già allocata ai clienti. Pechino potrebbe comunque firmare ulteriori intese (oltre a quelle già sottoscritte) per prenotare forniture da impianti di futura realizzazione e magari contribuire al loro finanziamento anche diventandone socia.
Nel settore agricolo Washington può sperare in un riscontro più rapido della buona volontà cinese. Pechino l’anno scorso ha acquistato 33 milioni di tonnellate di soia dagli Usa (un terzo del raccolto locale) e 50,9 milioni di tonnellate dal Brasile: fare di più non dovrebbe essere difficile, ma il Governo dovrebbe probabilmente imporlo perché oggi la soia brasiliana – per via di un raccolto record e del real debole – è molto più economica di quella americana.
La Cina potrebbe anche incrementare gli acquisti di mais «made in Usa», addirittura spingendone il valore da 150 milioni a 10 miliardi di dollari l’anno secondo il professor Dermot Hayes dell’Università dell’Iowa, intervistato dal Wall Street Journal. Ma ci vorrebbe «qualche anno» e Pechino dovrebbe «espandere enormemente le quote di importazione e ridurre tariffe che oggi arrivano fino al 65%».
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