La tutela della privacy e la cornice della democrazia
Il sipario si apre ed entrano in scena la Giustizia, la privacy e il diritto a essere informati. Dunque, le parole del ministro della Giustizia non scrivono un dramma inedito, la particolarità è nella forma, che ci riporta indietro nel tempo.
di Giovanna De Minico
3' di lettura
Il sipario si apre ed entrano in scena la Giustizia, la privacy e il diritto a essere informati. Dunque, le parole del ministro della Giustizia non scrivono un dramma inedito, la particolarità è nella forma, che ci riporta indietro nel tempo. Quando la riservatezza era un bene tutelabile con il consenso consapevole, quello prestato dal titolare della riservatezza, che, se informato, poteva decidere di far entrare qualcuno nel suo foro interno.
Oggi la società digitale e la sua economia alimentata dai big data hanno messo in campo intelligenze artificiali e algoritmi, incontrollabili dall’individuo. Il risultato è stato un azzeramento del diritto alla riservatezza perché i dati ci sono sottratti contro il nostro volere; da essi si traggono previsioni su comportamenti futuri, in grado di danneggiare ogni proiezione sociale ed economica di intere categorie di persone.
I tentativi di difendere la privacy, certamente apprezzabili a livello europeo, non basteranno a far prevalere la decisione umana su quella delle macchine, spesso discriminatoria delle minoranze. È per ridurre il danno che l’Europa sta provando a mettere un argine. Ebbene, nel 2023 il ministro ci ricorda che in nome del supremo e inviolabile diritto alla privacy le intercettazioni, che potrebbero ledere i terzi estranei al processo, vanno eliminate dal codice di procedura penale, salvo che per pochi e selezionati reati, come terrorismo o associazione mafiosa.
Quindi la corruzione, reato strettamente connesso ai primi, perché la criminalità organizzata entra nelle amministrazioni per mettere le mani sul danaro pubblico, non sarebbe più accertabile grazie alle intercettazioni, il che equivale a dire che probabilmente si sottrarrebbe alla pena. Per il ministro Nordio la privacy del terzo, cioè il diritto che i giganti di Internet hanno sepolto da anni, risuscita con una forza tale da far retrocedere la giustizia.
Mi sia consentito un parallelo con una vicenda di qualche mese fa. Il Garante per la protezione dei dati personaliha impedito la partenza della piattaforma pubblica gratuita dedicata alla raccolta delle firme digitali ai fini di referendum o di proposte di legge di iniziativa popolare, per mancanza degli accorgimenti tecnici necessari a difesa della privacy dei firmatari. Ragioniamo insieme: in un contesto politico dove i partiti stentano a mediare tra elettori ed eletti e gli strumenti di democrazia diretta cercano di compensare una politica resa sterile dall’inerzia dei primi, il Garante si è preoccupato di proteggere la privacy di chi esercitava con la firma un suo diritto politico, rinunciando a rivendicare i brandelli di privacy che ancora gli residuavano. La comparazione dimostra che diritti un tempo prevalenti possono attraversare una fase recessiva, il che non esclude che in futuro possano tornare a vincere.
Riprendiamo il discorso sulle intercettazioni, due cose sono loro difficilmente contestabili: la riservatezza del terzo può essere sacrificata, nonostante la “cassaforte digitale”, per acquisire prove indispensabili ad accertare reati; la soluzione Nordio invece garantirebbe più privacy, ma lascerebbe impuniti corrotti e corruttori della Pa. Ho detto in apertura che su questo palcoscenico interviene anche un terzo attore: il diritto collettivo all’informazione. Qui si pone una domanda importante: il giornalista che riceve una notizia uscita illecitamente da un fascicolo giudiziario, come si deve comportare? La rende pubblica o in nome del residuo di privacy la silenzia? Anche qui il conflitto interessa valori antagonisti: la privacy che imporrebbe di tacere a favore del terzo estraneo al reato, e il diritto dei cittadini di conoscere, sempre che il fatto sia di pubblico interesse. Ora, secondo il ministro la privacy, distrutta da Google e Amazon per il loro profitto quasi esente da tassazione, deve vincere anche sul nostro diritto a essere informati.
È vero che spetta alla politica scrivere il copione tra gli attori di questo dramma, ma non è vero che lo possa scrivere su una lavagna vuota. La democrazia ha disegnato una cornice, composta da interessi pubblici supremi, tra questi l’effettività della giustizia e la completezza della conoscenza collettiva, strumenti essenziali per la buona salute della democrazia. Solo entro questo perimetro costituzionale il decisore politico può decidere se sacrificare la riservatezza nel caso la democrazia lo richiedesse.
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