Opinioni

La via dell’equità passa da scuola e digitalizzazione

Il Covid-19 rischia di aumentare la disuguaglianza di reddito ampliata dalla crisi economica e di accentuare la povertà educativa dei più fragili

di Vincenzo Galasso

(AFP)

3' di lettura

Se il coronavirus ha un merito è quello di aver messo a nudo tutte le debolezze del nostro Paese. Per provare a riprenderci – come nel dopoguerra – è bene partire da una disamina di questi punti deboli. Molti li conoscevamo, alcuni ci hanno sorpreso. Ci ha sorpreso la Lombardia. La locomotiva d’Italia ha fallito nel compito di arginare la diffusione del coronavirus. Il confronto con il Veneto, anch’esso guidato da un governatore leghista, è impietoso. I dati – e immagino anche qualche inchiesta della magistratura – ci consentiranno di capire meglio la catena degli errori, che ha contribuito a spingere l’Italia intera in un prolungato e ossessivo lockdown.

Già i dati – i Big data. Non il bollettino delle 18, che forse ai più anziani ha riportato alla memoria il bollettino del quartier generale delle forze armate. I grandi assenti nella lotta al coronavirus sono proprio i dati, necessari per isolare da subito le persone positive al Covid-19, per tracciare i movimenti del contagio, per capirne la velocità di diffusione e il tasso di mortalità. In Italia è mancata la cultura della raccolta dati. In molti altri Paesi, che pure erano dietro di noi nella tempistica della diffusione del coronavirus, sono iniziate delle imponenti campagne per testare le persone a campione, o in specifiche popolazioni, quali i lavoratori del settore sanitario. Non da noi.

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I dati del progetto Repeat (Representations, perceptions and attitudes on the Covid-19) ci consentono invece di tracciare un quadro del grave disagio sanitario e economico prodotto dal coronavirus. Un’indagine campionaria condotta alcuni giorni fa mostra che per quasi un terzo degli italiani il reddito di marzo è stato inferiore a quello di gennaio. Uno shock economico molto superiore a quello subito da Francia e Germania, dove la percentuale delle persone che hanno visto il proprio reddito diminuire è rispettivamente del 18% e 13 per cento.

Ma soprattutto un shock economico molto diseguale: il reddito si è ridotto in quasi la metà di quelle famiglie che erano già le più povere prima del coronavirus e in un quarto di quelle più ricche. Del resto a fine marzo, dopo quasi tre settimane di lockdown, nelle famiglie più povere quasi due lavoratori su tre avevano smesso, anche solo temporaneamente, di lavorare. Meno di uno su tre in quelle più ricche. Parte di questo divario può essere spiegato dalle diverse occupazioni svolte da questi lavoratori e quindi dalla differente possibilità di passare allo smart working. A fine marzo, il 54% dei lavoratori più abbienti lavorava da casa, ma solo il 17% di quelli appartenenti alle famiglie più povere.

Parte di questa differenza è dovuta alla dotazione infrastrutturale. I dati Repeat mostrano che le famiglie più abbienti hanno in media una stanza e mezza in più di quelle più povere. Avere più spazio e più risorse economiche non solo rende la clausura più sopportabile ma aiuta anche a continuare le proprie attività durante il lockdown. Come aiuta avere un collegamento internet veloce, magari con la fibra, e uno o più strumenti (personal computer, tablet) per poter lavorare da casa e contemporaneamente consentire ai figli in età scolare di poter continuare le attività didattiche. La differenza di queste dotazioni tra i più e i meno abbienti è sostanziale.

Il coronavirus non sarà il grande equalizzatore. Tutt’altro. Rischia anzi di aumentare ulteriormente la disuguaglianza di reddito, già ampliata dalla crisi economica dell’ultimo decennio, e di accentuare anche le diseguaglianze scolastiche e la povertà educativa di alcune categorie. Tornare a lavorare presto e in sicurezza è cruciale per la ripresa dell’economia, ma anche per limitare gli effetti negativi su diseguaglianza e povertà. Non sorprende che a fine marzo ci fosse meno supporto per la chiusura delle attività economiche tra i meno abbienti (62%), che tra i più abbienti (71%). Malgrado fossero soprattutto i meno abbienti a vedere nel coronavirus un serissimo problema sanitario (il 63% contro il 53%). Tuttavia oltre alla riapertura controllata e alle indispensabili misure di supporto all’economia nell’immediato, è cruciale avere una visione per il futuro. Il coronavirus ha evidenziato alcune fragilità strutturali della nostra economia. Il post Covid-19 potrebbe rappresentare un’opportunità per affrontarle, partendo da istruzione, digitalizzazione e ricerca.

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