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La via europea dei carburanti puliti

Dice Alessandro Bartelloni, direttore di Fuels Europe: invece di cambiare auto cambiamo il rifornimento

di Jacopo Giliberto

7' di lettura

Il parere di Alessandro Bartelloni, direttore di Fuels Europe, può traguardare il futuro. O almeno una parte del futuro. Dice il direttore dell’associazione delle 40 raffinerie europee (quasi il 100% della capacitàdi raffinazione del continente): ricostruiamo per sintesi gli idrocarburi partendo da idrogeno pulito e da carbonio sottratto all’aria. L’obiettivo è offrire al consumatore europeo la possibilità di scegliere, senza interrompere la sua libertà di muoversi, a un costo sostenibile.

In attesa che le auto elettriche arrivino per tutti, intanto possiamo subito ridurre le emissioni di CO2. Ma le tecnologie dei carburanti puliti sono frenate dalla legislazione europea. Ciò limita la scelta e forza il consumatore ad adattarsi all’elettrico a caro prezzo. La normativa europea non può limitarsi a guardare dentro al motore e deve vedere come viene alimentato quel motore.

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Bartelloni, il tema è complesso e chiede un percorso logico. Cominciamo da un punto di riferimento: la riduzione delle emissioni di CO2, accusate di scaldare il clima.

Partirei non da un solo punto di riferimento bensì da due diversi princìpi. L’Europa ha stabilito l’obiettivo di arrivare alla neutralità climatica al 2050. I nostri membri – Fuels Europe ne ha 40 – hanno deciso di essere coerenti con quell’obiettivo e di contribuire a contenere l’aumento della temperatura globale al tetto di 1,5 gradi.

In che modo raggiungere questa neutralità?

Nel 2018 la Commissione Ue aveva presentato lo studio Clean planet for all. Delineava diversi percorsi possibili. Noi abbiamo accolto l’indicazione e abbiamo lavorato su Clean fluels for all. Il fatto è che noi incidiamo sul mondo del trasporto; i carburanti sono il 60% della produzione media di una raffineria. Il resto sono prodotti per la filiera industriale come le materie prime per la petrolchimica, i bitumi, i lubrificanti e così via.

Qual è il vostro secondo punto di riferimento?

Il secondo concetto su cui lavoriamo è il low carbon liquid fuels, che possiamo tradurre: carburanti liquidi a bassa emissione netta di CO2. La riduzione della domanda di carburanti produrrà un eccesso di capacità di produzione e di raffinazione di carburanti fossili. Ciò imporrà al settore di riconvertire. Bisognerà puntare sull’idrogeno verde, ecologico, e sull’idrogeno “verde” o “blu”, cioè estratto dall’acqua o dal metano; realizzare bioraffinerie e impianti di carburanti da rifiuti, sviluppare carburanti sintetici.

Che cos’è questo carburante?

Il carburante convenzionale, quello che rappresenta il 95% dei carburanti disponibili sul mercato, proviene dal petrolio. È di origine fossile.

Se vogliamo arrivare a un trasporto neutrale dal punto di vista delle emissioni di anidride carbonica, dobbiamo fare in modo che quel carburante derivi non da giacimenti fossili bensì da carbonio riciclato, cioè carbonio che è stato tolto dall’atmosfera o dai rifiuti, in modo che, quando questo carburante verrà bruciato in un motore, darà luogo a una CO2 pari a quella che era stata sottratta all’atmosfera.

Bartelloni, nel ciclo dei carburanti non ci sono solamente le emissioni dei motori.

Certo, il quadro delle emissioni non si deve fermare al momento dell’uso ma deve anche considerare la produzione dei carburanti, cioè le emissioni della raffineria. Il nostro percorso prevede anche che le raffinerie ridurranno o elimineranno le loro emissioni. Le emissioni di utilizzo, quindi, e le emissioni da produzione.

Come?

Per esempio con il carbon capture and storage, che è lo stoccaggio dell’anidride carbonica prodotta, oppure con il carbon capture and utilization, cioè il riutilizzo dell’anidride carbonica come materia prima.

Spieghi meglio, Bartelloni.

L’anidride carbonica è fatta di carbonio e di ossigeno. Facendola reagire con idrogeno – idrogeno “verde”, ottenuto con elettricità da fonti rinnovabili per ottenere l’idrolisi dell’acqua, o “blu”, ottenuto da metano con segregazione del carbonio – per sintesi si riottiene l’idrocarburo.

Ho capito, forse. Me ne parlava tempo fa un biotecnologo, Fabrizio Sibilla. Lo spiego con parole mie, quelle che fanno indignare i chimici. L’acqua è fatta di idrogeno e di ossigeno legati in modo strettissimo. Per separare questi due elementi serve iniettare nell’acqua una dose fortissima di energia, cioè di elettricità, che fa gorgogliare nell’acqua separatamente bolle di idrogeno e bolle di ossigeno. Questa è l’idrolisi, la divisione dell’acqua. Si cattura quell’idrogeno e lo si combina con l’anidride carbonica, che è fatta di carbonio e ossigeno, in modo da ottenere idrogeno e carbonio insieme, cioè idrocarburo. Benzina sintetica. Ovvio che però l’elettricità usata per separare l’acqua nell’idrolisi sarà rinnovabile o a zero emissioni: eolico o fotovoltaico.

Ecco. Invece di lavorare petrolio estratto dai giacimenti sepolti nel sottosuolo, progressivamente le raffinerie useranno altre materie prime come la biomassa vegetale, i rifiuti oppure la CO2 riciclata di cui abbiamo appena parlato.

Non sono fantasie?

No, se si passa all’adozione industriale di tecnologie che esistono già. Non sono castelli in aria.

Per esempio?

Per esempio, le bioraffinerie dell’Eni a Venezia e a Gela hanno chiuso il rubinetto del petrolio. Il ragionamento è che hanno già le strutture e le infrastrutture – tubazioni, serbatoi, stazioni di servizio sulla rete di distribuzione dei prodotti – che servono per cambiare quello che scorre dentro. Oppure c’è una raffineria che parte dai rifiuti plastici per trasformarli in carburanti; è in Austria.

Una raffineria dell’Omv?

Sì, quella che c’è fra l’aeroporto di Vienna e la città.

E perché continuare a produrre carburanti liquidi?

Il vantaggio del carburante liquido è la densità energetica. Per l’aviazione non ci sono ancora alternative altrettanto valide. Per le navi, ma anche il trasporto delle merci su strada, la densità energetica rende molto competitivo il carburante liquido.

E l’auto elettrica?

Sulle auto l’elettrificazione è l’ideale, perché per muovere una vettura c’è bisogno di meno energia, ma il carburante liquido è insostituibile per alcuni utilizzi specifici ma soprattutto per ridurre la pressione nel ricambiare velocemente tutta la flotta.

Questo principio merita di essere dettagliato.

Se è disponibile un carburante liquido a bassa emissione, lo si può sostituire subito sull’infrastruttura che esiste già e sui mezzi che ci sono già – dalla raffinazione ai distributori di carburanti, fino ai motori – e il beneficio ambientale è immediato, immediato. Si può fare subito per gli aerei, le navi e il trasporto pesante. Si può fare sulle automobili. Hai un beneficio ambientale immediato mentre aspetti che avvenga la sostituzione della tecnologia, che sarà più graduale.
Possono essere fatti nelle raffinerie.

Perché non si fa subito?

Purtroppo la scala dimensionale è ancora limitata perché la tecnologia è giovane ma soprattutto perché non ci sono le condizioni legislative che diano all’investitore un ritorno sull’investimento.

Che dimensione ha l’investimento in carburanti a CO2 neutra?

Questo tipo di investimenti sono molto costosi. Un impianto per produrre su scala industriale un idrocarburo sintetico, sintetic fuel, può costare un miliardo. Quello di cui l’investitore ha bisogno è un mercato che riconosca il beneficio di questi carburanti. Di una legislazione che dia un premio a chi investe. Non un incentivo economico, intendo un incentivo in termini di promozione del mercato.

La legislazione europea, quella degli Euro1, Euro2 e così via, è concentrata sul tipo di motore e sulle emissioni dal tubo di scappamento, ignorando il carburante che il motore usa.

Proprio così. Nella legislazione europea per le auto e i camion viene definito lo standard di grammi di CO2 per chilometro percorso. Lo standard per il 2021 prevede che ogni casa produttrice deve avere come media di vetture passeggeri immesse sul mercato l’emissione di 95 grammi di CO2 per chilometro. Questa emissione è indipendente dal tipo di alimentazione: se vengono alimentate con etanolo, per esempio, queste auto emettono CO2 a impatto zero perché non è anidride carbonica aggiuntiva estratta dal sottosuolo ma la stessa CO2 che era stata assorbita dall’atmosfera dalle piante che ho usato per produrre l’alcol. L’impegno è tutto mirato sul produttore di auto e non c’è alcun incentivo affinché il produttore di carburanti investa per ridurre la CO2.

In sostanza che dice Fuels Europe?

In sostanza perdiamo l’occasione di una decarbonizzazione veloce e che non pesa sulle tasche dei consumatori e dei governi. La nostra prima richiesta è che i benefici del carburante a basso contenuto di carbonio vengano riconosciuti dalla legislazione, in modo che si possa creare un mercato di questi prodotti e quindi che vi sia un ritorno per chi vi investe nel sostituire i carburanti fossili.

La vostra associazione dovrebbe affrontare in pubblico il tema.

È ciò che stiamo provando a fare. Parliamone. Vogliamo collaborare con il legislatore, con le altre industrie e con i consumatori. Senza costringere i cittadini a cambiare auto, entro il 2050 può essere al 100% neutrale per il clima il trasporto su strada e una parte consistente dei trasporti aerei e navali.

Forse la CO2 non ha molto valore sul mercato.

Certo; questo è uno dei temi. Per esempio, se la CO2 costasse di più, ci sarebbe un valore diverso per la Ccs, la carbon capture and storage, che viene tolta dall’atmosfera per essere usata come propellente iniettato nei giacimenti petrolieri oppure seppellita nel sottosuolo sotto il fondo del mare.

Ma i costi del seppellimento dell’anidride carbonica non sono proibitivi?

I costi della tecnologia si riducono a mano a mano che si cresce di scala. Nel mondo ormai ci sono 21 impianti di sequestro del carbonio, e costano fra i 50 e i 100 euro per tonnellata di CO2 bloccata, ma l’anidride carbonica sul mercato europeo delle emissioni Ets non vale più di 20-25 euro la tonnellata. Costa meno liberarla in aria che seppellirla.

Prima lei parlava delle bioraffinerie. Tocchiamo il tema spinoso dell’olio di palma?

La biomassa usata dev’essere sostenibile. L’olio di palma è accusato di essere il frutto di abbattimenti di foresta pluviale attuati per allestire le piantagioni di palma da olio. È un tema importante. In primo luogo, la Commissione europea nella direttiva Rinnovabili esclude gradualmente dal segmento delle fonti rinnovabili di energia la cosiddetta biomassa di prima generazione, se essa compete con il cibo, se causa deforestazione o se comunque rovina l’ambiente. Per esempio l’Eni dal 2023 non userà più olio di palma nelle bioraffinerie di Venezia e Gela. Anche altre aziende della raffinazione seguono questo percorso.

Il percorso delle bioraffinerie è andare verso materie prime vegetali più sostenibili?

Si spostano verso materie prime che non causano disboscamento e non competono con l’alimentazione. Le farò un altro esempio: la Esso lavora per sviluppare materie prime dalle alghe. Gli investimenti su Venezia e Gela sono molto significativi ma non sono gli unici.

Altri esempi?

Ci sono esperienze per produrre olio di ricino in Africa Settentrionale, colture che permettono di riabilitare aree desertificate e di ottenere biomassa sostenibile. I carburanti di sintesi, gli idrocarburi non fossili, sono del tutto utilizzabili nei motori attuali. I carburanti liquidi come il biodiesel o l’etanolo hanno limiti tecnici, che attualmente ne limitano la percentuale di miscelazione con carburanti convenzionali. Il bello dell’olio vegetale idrogenato è che lo sostituisci integralmente, lo puoi miscelare in qualsiasi quantità. E lo stesso per la benzina di sintesi. Ecco: ricostruiamo l’idrocarburo partendo da idrogeno pulito e da carbonio sottratto all’aria ed eliminando l’ossigeno. È una scelta per il consumatore: noi raffinerie europee vogliamo offrire al consumatore la possibilità di scegliere, senza interrompere la sua libertà di muoversi, a un costo sostenibile. Se limiti le tecnologie con la legislazione, come avviene oggi, allora limiti la scelta e forzi il consumatore ad adattarsi. Chi vuole tenere la sua auto, deve poter contribuire alla neutralità climatica senza essere costretto a comprare un’auto elettrica. Comprare l’auto elettrica dev’essere una scelta.

Riproduzione riservata ©
  • Jacopo Gilibertogiornalista

    Lingue parlate: italiano, inglese

    Argomenti: ambiente, energia, fonti rinnovabili, ecologia, energia eolica, storia, chimica, trasporti, inquinamento, cambiamenti climatici, imballaggi, riciclo, scienza, medicina, risparmio energetico, industria farmaceutica, alimentazione, sostenibilità, petrolio, venezia, gas

    Premi: premio enea energia e ambiente 1998, premio federchimica 1991 sezione quotidiani, premio assovetro 1993 sezione quotidiani, premio bolsena ambiente 1994, premio federchimica 1995 sezione quotidiani,

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