La XIV Biennale del duo Bardaouil- Fellrath racconta l’arte tra Lione, Beirut e il mondo
Curata dai neo-direttori del prestigioso Hamburger Bahnof di Berlino esplora la fragilità con un focus sugli artisti del Medio Oriente in collaborazione con il Gropius Bau. La mostra, in 12 sedi espositive, è visitabile fino al 31 dicembre
di Sara Dolfi Agostini
4' di lettura
Dopo il rinvio di un anno per la pandemia, la XVI Biennale di Lione è tornata con un progetto di ampio respiro intitolato «Manifesto of Fragility», suddiviso in tre capitoli espositivi che espandono il concetto di vulnerabilità, raccontandone la dimensione individuale, locale e universale. “La fragilità non si manifesta nello spazio pubblico, ma sulla tua pelle, e ti accompagna nel mondo” spiega Sam Bardaouil, libanese, che con il tedesco Till Fellrath ha curato questa edizione ispirandosi alla vita di Louise Brunet, una giovane operaia del settore industriale della seta lionese che prese parte alla rivolta dei Canut nel 1834 e, immigrata a Beirut in cerca di fortuna, continuò lì la sua battaglia per i diritti dei lavoratori.
Seguendo le disavventure di Louise Brunet, i curatori spostano l'attenzione sull'età dell'oro a Beirut, la città sulla via della seta che diventò la capitale artistica ed economica del Medio Oriente negli anni '60 - sulla spinta del segreto bancario - prima di essere coinvolta nella guerra libanese civile del 1975. Infine, l'ultimo capitolo è dedicato alla società che verrà, quella post-pandemica e post-capitalista, in cui la fragilità si offre come solido mattone per ricostruire insieme un futuro sostenibile.
Il progetto espositivo
Scegliendo a pretesto un prodotto del vecchio mondo, la seta, i capitoli della mostra si intrecciano con la storia urbanistica e architettonica della città in 12 sedi, dal Museo di Arte Contemporanea MAC Lyon, da sempre punto di partenza della Biennale, alle ex fabbriche Fagor, già usate nel 2019, fino ai suggestivi Parc de la Tête d’Or, il Museo Guimet – il vecchio museo di storia naturale, abbandonato dal 2007 - e il Lugdunum, un museo brutalista di rovine greco-romane che si estende sulla collina dell'antica città di Lione. “Questa biennale trans-storica conta 202 artisti, di cui il 55% artiste, 66 nuove commissioni, e la mostra su Beirut co-prodotta con il Gropius Bau di Berlino (che l'ha presentata in primavera ndr)” spiegano Bardaouil e Fellrath, che tra i molti impegni sono anche curatori associati dell'istituzione tedesca.
Infatti, i due, che lavorano insieme dal 2008, hanno un network impressionante che vanta collaborazioni con oltre 70 musei internazionali, dalla Tate Liverpool al Centre Pompidou. Al culmine del successo, quest'anno Bardaouil e Fellrath hanno firmato anche il padiglione francese della 59. Biennale di Venezia con l'artista franco-algerina Zineb Sedira, insignito della menzione speciale, e sono stati nominati di recente co-direttori del prestigioso Hamburger Bahnof, Galleria Nazionale di Arte Contemporanea di Berlino.
Beirut e il mondo arabo
Al centro del progetto espositivo della Biennale, l'indagine sugli artisti del mondo arabo moderno e contemporaneo parte dalla rassegna dedicata alle gallerie e ai protagonisti della scena libanese degli anni ‘60. Tra le opere, spiccano i dipinti e gli arazzi astratti dell'artista e poetessa libanese Etel Adnan (Galleria Continua, 50-350.000 euro), nata nel 1925 e recentemente scomparsa, e le opere della sua partner, la scultrice e scrittrice siriana Simone Fattal (Kaufmann repetto, 20-300.000 euro), nota per i suoi corpi informi in ceramica – entrambe riscoperte dal sistema dell'arte internazionale tramite l'intervento di Hans Ulrich Obrist. Chiudono la mostra Khalil Joreige & Joana Hadjitomas «The Third Line» (i prezzi delle opere su carta variano da 2500-14.000 euro su Artsy) con opere commoventi dedicate all'esplosione del porto di Beirut dell'agosto 2020, tra pensieri, frammenti di vetro e video di telecamere di videosorveglianza.
L'indagine prosegue nelle sezioni internazionali, dove si incontrano altri artisti libanesi nati dopo la guerra civile. Come Raed Yassin (Marfa’ Projects, 22-25.000 dollari), che ripropone la storia della casa di moda del padre in chiave pop per riflettere su come i traumi personali risuonino nella vita di oggi, e Chafa Ghaddar (Galerie Tanit, 15-30.000 dollari), che carica pesanti strati di intonaco su tele di grandi dimensioni mescolando tecniche antiche e contemporanee. A livello regionale, spiccano la monumentale installazione dell'artista saudita Filwa Nazer (Hafez Gallery, opera da 120-150.000 dollari) che riflette su identità e precarietà attraverso cinque figure di donne evocate da abiti decostruiti, e i lightbox e video della marocchina Randa Maroufi (Galerie Paris-B, foto a 7-10.000 euro), che esplora spazi liminali al confine tra legalità e criminalità nel mondo arabo di oggi.
Gli artisti internazionali
Disseminate in più sedi, le opere degli artisti internazionali presentano ugualmente un alto livello di ricerca e l'interesse dei due curatori per un equilibrio tra concettuale ed emozionale. Ispirati dalla ricerca di archivio, i dipinti in bianco e nero dell'italiana Giulia Andreani (Galerie Max Hetzler, 15-70.000 euro) sono uno squarcio nella storia e dignità di soggetti dimenticati o sconfitti dalla società, mentre i personaggi di Daniel Otero Torres (Mor Charpentier, sculture da 18-25.000 euro) sono sagome sottili dalle lunghe ombre metalliche colte in momenti di resistenza - rappresentanti di diversi momenti storici e civiltà, da quelle precolombiane a oggi.
Nel film animazione di Gabriel Abrantes, invece, una scultura neoclassica di una giovane donna scende dal piedistallo del Louvre per scoprire il mondo e si imbatte in una manifestazione nelle strade di Parigi.
L'opera è una metafora ironica e toccante del tentativo di accorciare le distanze tra arte, realtà e attivismo. Infine, Lucy McRae (in mostra da Honor Fraser, 8-50.000 dollari), presente con un film e una fotografia, porta lo spettatore in un futuro fantascientifico dove il corpo dell'artista e performer è predisposto - e addestrato - a nuove esperienze fisiche e sensoriali. Dopotutto, la pandemia ci ha dimostrato che, ben oltre tecnologia, economia e progresso scientifico, la spinta al futuro riparte dal corpo umano.
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