La zootecnia europea respinge le accuse sull’inquinamento
Documento degli allevatori di 7 Paesi: «In Europa il settore produce il 7,2% delle emissioni di gas serra (in Italia il 5,6%) la metà della media mondiale (14,5%)»
di Giorgio dell'Orefice
3' di lettura
Si fa presto a dire “green”. L’universo della zootecnia europea, e italiana, non ci sta a essere messo all’angolo dalla strategia Ue “Farm to Fork” e parte al contrattacco. Allevatori e trasformatori della filiera delle carni di sette Paesi (Belgio, Francia, Spagna, Germania, Portogallo e Polonia e Italia) hanno lanciato un video appello per mettere all’indice i «nove paradossi della strategia Ue».
Critiche che hanno toccato, fra gli altri, temi quali l’impatto ambientale, le ripercussioni economiche (di un ridimensionamento della zootecnia), gli aspetti nutrizionali per l’uomo e il benessere animale. L’iniziativa è stata organizzata dall’associazione italiana Carni Sostenibili e da European Livestock Voice, l’organizzazione che riunisce gli organismi europei della filiera zootecnica. Uno dei punti cardine della controffensiva è la mancata messa a punto da parte di Bruxelles di un’analisi di impatto economico, analisi che invece è stata definita dal dipartimento dell’Agricoltura Usa con risultati tutti da valutare.
Ma andiamo con ordine. Le principali obiezioni hanno riguardato l’aspetto chiave che ha spinto la zootecnia sul “banco degli imputati”: l’impatto ambientale. Le principali accuse riguardano il tema delle emissioni e il consumo di suolo. «In Europa il settore zootecnico – ha spiegato Giuseppe Pulina, ordinario di Zootecnica all’Università di Sassari e presidente di Carni sostenibili – è responsabile del 7,2% delle emissioni di gas serra (in Italia del 5,6%), la metà della media mondiale che è del 14,5%. Il restante 85% proviene dall’uso di combustibili fossili utilizzati nell’industria, nel settore residenziale e nei trasporti».
Per quanto riguarda invece il consumo di suolo – è stato sottolineato dagli allevatori Ue – in Europa i terreni agricoli ammontano a 161 milioni di ettari, di cui circa 110 (il 68%) sono destinati all’allevamento. In questo computo sono compresi 39,1 milioni di ettari coltivati a cereali e a semi oleosi, utilizzati anche dall’uomo, mentre 70,7 milioni di ettari sono prati. Ridurre l’attività di allevamento richiederebbe dover convertire questi terreni all’agricoltura oppure lasciarli abbandonati, il che aumenterebbe il rischio di dissesto idrogeologico e ridurrebbe biodiversità. Contestate anche le critiche di Farm fo Fork sul piano nutrizionale. L’obiettivo della strategia Ue è quello di ridurre i tassi di obesità tagliando i consumi di carne. «Le proteine animali – spiega Pulina – sono quelle più efficienti da un punto di vista nutrizionale: in poche calorie troviamo tutti e nove gli aminoacidi essenziali che il corpo umano non produce da sé e sedici tra vitamine e minerali».
«È invece strumentale – ha aggiunto il presidente di Assocarni, Luigi Scordamaglia – attaccare gli allevamenti proponendo la sostituzione di un alimento ad alto valore nutrizionale come la carne con un prodotto sintetico come la fake meat».
Ma il terreno sul quale la controffensiva zootecnica si fa più stringente è quello economico. Va ricordato che la filiera zootecnica europea conta un valore alla produzione di circa 170 miliardi di euro, il 40% dell’intera produzione agricola Ue. Senza contare le molteplici filiere collegate: dal biomedicale (eparina, valvole cardiache), alla produzione di pelli e cuoio, dalla cosmesi al pet food, dai fertilizzanti organici alle biomasse per la produzione di agroenergie. Sul piano dell’impatto economico, in mancanza di un’analisi Ue, importanti indicazioni vengono da una ricerca effettuata dal dipartimento dell’Agricoltura Usa, che ha immaginato uno scenario futuro applicando senza correzioni Farm to Fork: la produzione agricola Ue si ridurrà del 12%, i prezzi cresceranno del 17%, le esportazioni perderanno il 20%, «senza contare che l’Europa – ha spiegato Birthe Steenberg, segretario generale dell’Avec (Associazione europea carni avicole) e componente di European Livestock Voice – dovrà acquistare carne da altri paesi nei quali si produce con maggiori emissioni, non sono rispettati gli standard Ue sul benessere animale e non ci sono limiti all’uso di antibiotici negli allevamenti che in Europa sono previsti dal 2006».
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